La terra e il mare: due entità fisiche percepite in modo nettamente diverso dalla maggior parte degli esseri umani. La prima è qualcosa di tattile, di investigabile, di manipolabile. Ha anch’essa lati oscuri, misteriosi, a volte terribili e a volte affascinanti, ma è lì a portata di mano (e di piede). In altre parole, è il nostro mondo, parla la nostra lingua.
Il mare no. Esso non sembra voler comunicare con noi. Sia che si presenti con un confine distensivo e tranquillo, sia che si mostri con la rabbia delle sue onde, esso è un “diverso”, sempre impenetrabile e incomprensibile. Sì, possiamo anche immergerci e vedere cosa contiene. Possiamo, anche studiarlo attraverso svariate tecnologie, ma rimane qualcosa di estraneo, di alieno. Non esistono parole tra di noi o -quanto meno- parliamo due linguaggi troppo distanti tra loro. Questa è la prima impressione che mi colpisce quando mi affaccio da un’altura verso il mare. Una gran voglia di conoscere e di interagire, ma un senso di frustrazione nel non esserne capace.
Almeno, queste erano le mie sensazioni fino al recente viaggio alle Hawaii. Adesso tutto è cambiato. La voce del mare è risultata improvvisamente udibile e comprensibile in tutte le sue sfumature. Vi racconto come è successo.
Isola di Maui, temperatura del mare estremamente piacevole, profondità non troppo elevata. Un luogo perfetto perché i giganti del mare possano mettere alla luce i loro piccoli. Vale la pena percorrere migliaia di chilometri dall’Alaska per approdare in una “nursery” di livello eccezionale. Come dargli torto? Anche noi cerchiamo di fare lo stesso per i nostri neonati.
I giganti del mare, le balene, enormi creature che potrebbero comunque nascondersi tranquillamente al di sotto di quel confine invalicabile di cui dicevo prima. Basta un attimo per respirare e tornare nel mondo dell’incognito e del mistero. E invece non lo fanno. Le balene vogliono comunicare con la terra e usano tutti i sistemi di cui sono capaci. Per loro quel confine è superabile e leggero. In fondo, basterebbe immergere un dispositivo acustico per sentire il loro canto dolce e variegato, che ci racconta di avventure, di speranze e di drammi. Ma non lo capiremmo comunque e il loro mondo resterebbe nascosto e inviolabile. Hanno, perciò, scelto di apparire direttamente agli abitanti della terra e di farlo con una costanza e una passione che noi non riusciremmo mai a possedere.
Mi sono fermato per pochi minuti su un promontorio a guardare quella distesa liquida che sentivo ancora lontana e insuperabile. Bella, limpida, colorata, ma invalicabile. Improvvisamente, il mare ha parlato e si è fatto capire. Uno sbuffo altissimo, poi un altro. Una coda che si erge dritta contro il cielo blu e che percuote le onde. Un gesto ripetuto con accanimento. “Allora… mi stai sentendo? Io sono il mare e cerco di parlarti!”. E’ un caso, un momento irripetibile che non fa storia. Il confine torna alla sua anormale normalità. No, ecco un altro sbuffo e questa volta un dorso enorme e arcuato sembra uscire ed entrare al rallentatore. Non è solo, però. Insieme a quello più grande ve ne è uno più piccolo che cerca di seguire gli insegnamenti. Sì, è un cucciolo che sta imparando dalla mamma. E continuano a volteggiare per lunghi minuti.
La coda dell’occhio, però, nota altri sbuffi a destra e poi a sinistra. Alcuni lontani, altri vicinissimi. La testa mi sta girando. No, non posso sbagliarmi: il mare mi sta parlando attraverso i suoi giganti. Comincio a capire e mi accorgo che sto sorridendo. Poi entrano in scena i maschi, un po’ prepotenti e sempre desiderosi di mettersi in mostra anche se il tempo degli amori è ancora lontano. Forse vogliono insegnare ai piccoli qualcosa che non siano solo le tecniche base di movimento e di sopravvivenza. Ogni tanto fanno uscire solo una pinna, altissima come una torre. A volte solo l’enorme testa che sembra scrutare curiosa la superficie del mare o forse la terra lontana. Non posso sbagliarmi: sto assistendo a uno spettacolo che il mare mi sta regalando attraverso i suoi attori più importanti e prestigiosi.
Penso con disgusto e con compassione agli spettacoli artefatti che si vedono negli acquari. Com’è stupido l’uomo e come la sua ignoranza riesce facilmente a trasformarsi in cattiveria. Scaccio quel pensiero e torno agli amici del mare.
Comincio a riconoscere i vari ruoli e le varie scene che hanno preparato. Mi accorgo che spesso dove penso di vedere una sola creatura ve ne sono invece tre, quattro o anche più. Sembrano scandire le loro parti in modo da regalarmi un colloquio continuo. Poi un primo colpo di fortuna. Una mamma (è sicuramente lei) spinge fuori dall’acqua il suo erede e lo lascia ricadere in modo abbastanza rovinoso. Deve imparare anche a saltare. Qualsiasi dubbio mi lascia. Il salto non è legato a nessun bisogno fisiologico delle balene (dicono di sì, ma sono solo le solite invenzioni umane costruite per sentirci superiori). E’ un gesto di gioia, di allegria, di partecipazione e di comunicazione. Se viene insegnato ai piccoli, vuol dire che deve far parte del repertorio degli adulti. Ne ho sentito parlare, ne ho visto anche delle foto. Ma tutt’altra cosa è assistervi direttamente in un colloquio diretto, a tu per tu. Scruto il mare che ormai mi sta chiamando da molte direzioni. Trascuro molti messaggi aspettando l’urlo liberatorio. Finalmente arriva e sento una stretta nel petto. Incredibile! Una creatura di venti metri di lunghezza esce completamente dall’acqua e compie un salto arcuato e nettissimo. Sta facendo il “ponte”, l’esercizio più entusiasmante e sicuramente “inutile” da un punto di vista logico e fisico.
Non posso che considerarlo come un grido lanciato verso di me e mi accorgo che ho risposto con un “Evviva” o -forse – con un “Bravo”. Sembra che mi abbia sentito e lo ripete tre, quattro, cinque volte in una sequenza che lascia di sasso. E ogni volta, nella ricaduta, l’urto con l’acqua è un rumore, anzi un suono, che non ha confini. Guardo l’orologio. E’ passata meno di mezz’ora e sto parlando con il mare. Tra di noi tutto è cambiato, grazie alle balene e alla loro rappresentazione sempre uguale e sempre diversa. Potrò mai ringraziarle abbastanza?
P.S.: aggiungo qualche foto personale, di bassa tecnologia. Non mi avvilisco, però, più di tanto, dato che non si fanno foto ai suoni e alle chiacchierate personali e intime. Se ce ne fosse bisogno, servono solo a ricordare, a stuzzicare la memoria e a rivivere momenti magici.
Vincenzo Zappalà – 2014
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