La cometa C/2014 Q2 (Lovejoy) e le sue compagne di avventure – Anna Galiano

Comet C/2014Q2 Lovejoy taken by Gerald Rhemann on January 21, 2015 @ Puchenstuben, Lower Austria

La cometa C/2014 Q2 (Lovejoy) ha animato le ultime notti di Dicembre 2014 e ha permesso a tutti gli appassionati di astronomia di salutare il nuovo anno ammirando la sua spettacolare chioma e lunga coda. Il passaggio della Lovejoy nei cieli notturni è pertanto il fenomeno astronomico più ricercato di questo inizio 2015. Le comete sono corpi minori del Sistema Solare costituiti essenzialmente da aggregati di polveri e ghiacci. Quando questi corpi si avvicinano al perielio (ossia sono nella posizione di minima distanza dal Sole sulla propria orbita), la sublimazione dei ghiacci e l’espulsione delle polveri generano un’atmosfera gassosa attorno al nucleo, definita chioma, che ha solitamente un diametro dell’ordine di 104 – 105 km, e caratterizzata da una densità compresa tra 104 e 106 molecole/cm3. Il vento solare interagisce con la chioma e spinge il gas e le polveri in una direzione opposta al Sole, dando origine principalmente alle code di ioni e di polveri. Le code di ioni sono composte da particelle elettricamente cariche che si dispongono su di una traiettoria più o meno rettilinea modellata dal campo magnetico presente, mentre le code di polveri si presentano con una forma arcuata, che è il risultato della combinazione della pressione di radiazione solare e del moto orbitale della cometa. Infatti, le particelle solide espulse dal nucleo, poiché sono più pesanti rispetto agli ioni, sono attratte gravitazionalmente dal Sole e risentono anche della velocità orbitale della cometa. Pertanto, a seconda della massa, esse subiscono una deviazione differente e danno origine a quella disposizione della coda detta “a scimitarra”. Le code possono raggiungere lunghezze di milioni di km ed una larghezza compresa tra 1 e 2 milioni di km mentre la densità può variare mediamente tra 10 e 100 molecole/cm3.

C/2014 Q2 è stata osservata per la prima volta da Terry Lovejoy in Australia, divenendo la quinta cometa scoperta da questo esperto cacciatore di comete. Il metodo usato da Lovejoy per identificare questi corpi minori consiste nell’esaminare con attenzione il cielo orientale prima dell’alba e quello occidentale dopo il tramonto, facendo uso di una camera CCD al fuoco di un telescopio Schmidt-Cassegrain con un diametro di 20 cm. La tecnica è relativamente semplice. Lovejoy acquisisce immagini in sequenza di numerose porzioni di cielo distanziate di opportuni intervalli di tempo, dopo di che le analizza con un software in grado di effettuare un blinking tra le riprese riuscendo in questo modo ad individuare un eventuale oggetto in movimento, non presente nei vari cataloghi disponibili.

Tripletta di immagini del campo stellare osservato da Terry Lovejoy, grazie alle quali ha individuato la cometa C/2014 Q2.

In questo modo, il 17 Agosto 2014, analizzando le tre immagini del campo stellare in Figura 1, Lovejoy è stato in grado di individuare quella cometa che, spostandosi in senso antiorario rispetto alle stelle fisse, ha poi preso il suo nome. Nel comunicato ufficiale ha annunciato la scoperta con queste parole: “Oggetto di piccole dimensioni, ben condensato, con un diametro di 15” (secondi d’arco) ed una breve e debole coda di 1’ (primo d’arco) dalla magnitudine apparente di 15, in un campo affollato di stelle”.

Comet C/2011 W3 (Lovejoy) re-emerging from behind the Sun on Dec. 15, 2011. (NASA/SDO)

Terry Lovejoy è stato lo scopritore anche della cometa C/2011 W3 (Lovejoy). Scoperta il 27 Novembre 2011, è famosa per essere sopravvissuta ad un incontro molto ravvicinato con il Sole. Infatti C/2011 W3 (Lovejoy) fa parte delle comete Kreutz Sungrazing (conosciute anche come “comete radenti”), ossia caratterizzate da orbite con un perielio molto prossimo al Sole. L’astronomo tedesco Heinrich Kreutz dimostrò che queste particolari comete sono i resti di una cometa di dimensioni maggiori frammentatasi diversi secoli fa e che continuano a muoversi su orbite correlate tra loro. Le comete radenti, avvicinandosi così pericolosamente al Sole, sono in grado di sviluppare una chioma e delle code talmente luminose da essere visibili in pieno giorno e sono destinate pertanto a divenire “Grandi Comete”. Difficilmente però queste comete riescono a sopravvivere al passaggio al perielio, poiché inevitabilmente vengono maltrattate gravitazionalmente dalla nostra stella e spesso disintegrate dalle forze mareali. Eccezion fatta, per esempio, per la Grande Cometa del 1843 e per la C/2011 W3 (Lovejoy). Quest’ultima, in particolare, ha raggiunto il perielio il 16 Dicembre 2011 penetrando nella corona solare fino a 140000 km dalla superficie del Sole. Mentre il mondo scientifico osservava l’evento aspettandosi una sua probabile disintegrazione, la cometa ha sorpreso tutti riuscendo ad allontanarsi dalla nostra stella (Figura 2) e proseguendo lungo la propria orbita.

Descrizione della traiettoria della cometa Lovejoy. Si nota come l’inclinazione orbitale sia quasi ortogonale al piano del Sistema Solare, pari a 80.3 °.

Analogamente la cometa C/2014 Q2 sta facendo parlare di sé gli appassionati di astronomia di tutto il mondo, principalmente grazie alla sua spettacolare coda di ioni. La denominazione attribuitale indica che è una cometa a lungo periodo, ossia con un periodo orbitale maggiore di 200 anni e con un’inclinazione dell’orbita casuale. Infatti la sua inclinazione orbitale rispetto al piano del Sistema Solare è di 80.3° (Figura 3), suggerendo la sua probabile provenienza dalla Nube di Oort, il guscio sferico costituito probabilmente da parecchi miliardi di nuclei cometari che circonda il Sistema Solare e situato ben oltre l’orbita di Nettuno, tra 30000 AU (Astronomical Unit) e 100000 AU dal Sole, quasi a metà strada tra la nostra stella e quella a noi più vicina, Proxima Centauri (distante 250000 AU dal Sole). In più, l’elevata eccentricità (0.998) è un’ulteriore prova a sostegno della Nube di Oort come sito di provenienza della Lovejoy. Solitamente le comete a lungo periodo sono caratterizzate da un nucleo irregolare con dimensioni comprese tra 5 e 10 km, ma nel caso della Lovejoy non si sono potute effettuare analisi accurate a causa della chioma che lo nasconde alla visione diretta. Dotata di un semiasse maggiore di 578.50 AU, non è la prima volta che la cometa Lovejoy giunge nel Sistema Solare interno: il suo periodo orbitale originale era di 11500 anni, pertanto potrebbe essere stata osservata dai nostri antenati del Mesolitico che all’epoca utilizzavano la pietra per costruire armi e utensili. La cometa è giunta nuovamente nella regione planetaria nel 1950 ma questa volta le perturbazioni gravitazionali da parte dei pianeti maggiori hanno modificato la sua orbita cosicché, una volta abbandonato il Sistema Solare (nel 2050), il periodo orbitale diverrà di 8000 anni e il suo ritorno è dunque previsto per il 10000 d.C.

Quando Lovejoy ha osservato per la prima volta la cometa, la notte del 17 Agosto 2014, questa attraversava la costellazione australe della Poppa con una magnitudine apparente attorno alla 15-esima. A Dicembre era di settima, divenendo facilmente individuabile con un piccolo telescopio o un binocolo. Il nucleo cometario circondato dalla chioma, che negli strumenti ottici appare come una sfera sfocata, è diventato in seguito visibile ad occhio nudo sotto cieli bui. A tal proposito, è bene ricordare che il nostro occhio potenzialmente riesce a rilevare corpi celesti di magnitudine attorno alla sesta, ma in presenza di inquinamento luminoso questo valore è solo teorico. Nei primi giorni di Gennaio la cometa ha raggiunto una magnitudine apparente di 5, passando ad una distanza minima di 0.469 AU (circa 70000000 km) dalla Terra il 7 Gennaio. Il 12 Gennaio la magnitudine stimata di 3.8 l’ha resa un oggetto relativamente facile ma in ambiente cittadino è stato possibile osservarla solo grazie all’utilizzo di strumenti ottici. Nei giorni successivi, poiché la cometa si allontanava sempre di più dalla Terra la sua magnitudine apparente ha iniziato ad aumentare. Quando la cometa raggiungerà il perielio, il 30 Gennaio, passando ad una distanza di 1.29 AU (circa 193000000 km) dal Sole, risulterà sempre più difficile osservarla. Dopo aver attraversato la porzione di cielo tra la costellazione di Andromeda e Perseo a Febbraio, sfiorerà la stella polare verso fine Maggio con una magnitudine apparente prevista pari a 12.

Cometa Lovejoy e l’ammasso globulare M79

Le spettacolari foto scattate da tutto il mondo riprendono l’affascinante cometa durante il suo viaggio verso il Sole. In particolare, nella notte tra il 28 e il 29 Dicembre, C/2014 Q2, attraversando la costellazione della Lepre, è transitata vicino all’ammasso globulare M79. Di seguito sono riportati 5 immagini, acquisite in remoto in Namibia da Gerald Rhemann, che riprendono la cometa nelle notti tra il 21 Dicembre e il 28 Dicembre.

Comet C/2014Q2 Lovejoy Taken by Gerald Rhemann on December 28, 23, 21, 22, 27 2014 @ Farm Tivoli, Namibia, SW-Africa

Come già accennato è evidente che la chioma e le code della cometa C/2014 Q2 hanno colori differenti. Da un lato la chioma ha un colore verdastro, mentre la coda di ioni e la coda di polveri hanno rispettivamente un colore tendente al blu ed un tenue bianco giallastro.

“It was interesting that while taking the pictures it was possible to see changes in the tail/streamers”. Adam Block/Mount Lemmon SkyCenter/University of Arizona

Per spiegare queste differenti colorazioni si deve innanzitutto precisare che il nucleo roccioso di una cometa in generale è caratterizzato da un basso potere riflettente (detta albedo). Ossia mentre il ghiaccio puro riflette il 60-80% della radiazione solare incidente, il nucleo riesce a rifletterne meno del 10%. Ora, viene da chiedere, com’è possibile che il nucleo cometario, pur essendo composto da ghiaccio, rifletta una così ridotta percentuale di radiazione solare? In realtà, da quando questi agglomerati rocciosi e ghiacciati si sono formati, circa 4.5 miliardi di anni fa, sono stati bombardati da raggi cosmici, vento e radiazione ultravioletta solare. Tali interazioni hanno innescato dei meccanismi come la fotodissociazione: in questo processo la radiazione elettromagnetica scinde le molecole ghiacciate, dotate di un’elevata albedo, che compongono le sostanze volatili semplici del nucleo (CO, CO2, H2O, CH4, NH3) in una miscela di sostanze organiche con basso potere riflettente. Questo fenomeno permette anche la formazione di una crosta solida e porosa, dalle cui fratture fuoriescono (quando la cometa è in avvicinamento al Sole) getti di gas e polveri localizzati, innescando così l’attività cometaria e dunque la formazione della chioma.

L’indagine spettrale è il metodo maggiormente utilizzato per estrarre informazioni di natura chimica dalle comete. Lo studio di questi corpi minori ha aiutato a comprendere le condizioni chimico-fisiche che caratterizzavano il Sistema Solare nei primi periodi della sua formazione, avvenuta 4.5 miliardi di anni fa. Infatti, le comete sono dei corpi rocciosi e ghiacciati rimasti sostanzialmente inalterati sin dalla loro origine e pertanto sono considerati i “mattoni primordiali” del Sistema Solare attuale. Molto probabilmente si sono generati nelle regioni del Sistema Solare esterno in prossimità di Urano e Nettuno ed in seguito sono stati trasportati nella Nube di Oort a causa dell’interazione gravitazionale da parte di questi pianeti gassosi. Le analisi spettroscopiche, già a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, hanno permesso di individuare la presenza di radicali e ioni chimicamente instabili all’interno dei nuclei cometari. Si ritiene che questi siano prodotti dalla fotodissociazione di ghiacci, molecole stabili e strutturalmente complesse identificate come “molecole genitrici”. Di conseguenza ai radicali ed agli ioni è stata attribuita la denominazione di “specie figlie”. Le molecole individuate erano: CO, CH4, CO2, N2, NH3, NH, CN o C2N2 (cianogeno), OH, CH3OH (metanolo), C2H6 (etano), HCOOH (acido formico), H2CO (formaldeide).

Mentre il nucleo può essere osservato per mezzo della ridotta luce solare riflessa, ciò che rende visibile la chioma è sia il processo di diffusione della luce da parte dei gas e delle polveri che la compongono, sia il fenomeno della fluorescenza innescato dalle molecole che sublimano dal nucleo sottostante. Queste molecole, infatti, transitando dallo stato solido a quello gassoso a causa del flusso solare che ricevono, assorbono la componente ultravioletta della radiazione (corrispondente all’intervallo dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda compresa tra 100nm e 400nm), si eccitano e si diseccitano, emettendo radiazione con una lunghezza d’onda maggiore, corrispondente alla luce visibile tra 400nm e 700nm. Di conseguenza la chioma cometaria è caratterizzata da uno spettro continuo (dovuto alla diffusione della luce solare da parte delle polveri e dei gas) su cui sono sovrapposte delle righe e delle bande di emissione relative alle molecole che danno luogo al fenomeno della fluorescenza.

La polvere cometaria è in realtà composta da due componenti: i silicati (soprattutto olivina) con una densità media di 2.5 g/cm3 e le cosiddette “particelle CHON” ossia composte da Carbonio, Idrogeno, Ossigeno e Azoto, (C, H, O, N), con una densità media di 1 g/cm3. È stato dimostrato come la presenza di queste due componenti dipenda dalla distanza della cometa dal Sole: mentre la prima aumenta dal 10% al 97% quando la cometa si avvicina al perielio, la seconda diminuisce dal 90% al 3%. Solitamente le specie figlie possono essere individuate esaminando uno spettro cometario nel range del visibile, mentre le molecole genitrici sono più facilmente individuabili analizzando la regione dello spettro elettromagnetico relativa all’IR e alle onde radio. Le principali specie figlie rilevate in una cometa sono il radicale ossidrile (OH), l’ossido di carbonio (CO) e il cianogeno (CN). È stato dimostrato come OH sia il prodotto della dissociazione della molecola genitrice H2O, il principale costituente del nucleo cometario. Dall’analisi spettrale della cometa Hale-Bopp, meglio conosciuta come Grande Cometa del 1997, si sono ottenute importanti informazioni sulle molecole genitrici di queste tre specie. Quando la cometa era a 700 milioni di km (4.66 AU) dal Sole e dalla Terra tra Marzo e Aprile 1996, si è riusciti a rivelare una grande emissione di CO2 tramite la presenza della riga spettrale a 4.25 micron, ritenendola la molecola genitrice di CO. Il cianogeno CN sembra essere invece il segno dell’inizio dell’attività cometaria, poiché è legato alla dissociazione della crosta del nucleo. Quando la Hale-Bopp era a 6.82 AU (30 Agosto 1995) dal Sole è stata stimata, grazie alla presenza della riga di emissione attorno a 380nm, una quantità di CN pari allo 0.3% rispetto al CO. L’8 Aprile 1996, quando la cometa era a 4.7 AU, oltre al CN è stata notata la presenza dell’acido cianidrico (HCN), analizzando lo spettro cometario nel range corrispondente alle onde radio. CN e HCN erano presenti in simili abbondanze, di conseguenza venne dedotto che il cianogeno era il prodotto della dissociazione di HCN.

Sopra è riportato un grafico che mostra chiaramente la diversa abbondanza di molecole prodotte mentre la cometa Hale-Bopp si avvicinava al Sole, raggiungendo il perielio il 1 Aprile 1997. Lo studio è stato effettuato, sfruttando diversi radiotelescopi, da un team di ricercatori capeggiati da N. Bivier (Osservatorio di Parigi) nel periodo compreso tra Agosto 1995 (quando la cometa era a circa 6.9 AU dal Sole) e Gennaio 1997 (quando Hale-Bopp era a 1.4 AU dal Sole). Fino ad una distanza di 4.7 AU l’attività cometaria era caratterizzata principalmente dall’emissione di CO, prodotto dalla fotodissociazione di CO2. Il radicale OH ha prevalso sul CO quando la cometa ha raggiunto la distanza di 3 AU dal Sole. A distanze maggiori OH era presente in minima parte poiché la molecola genitrice del radicale, ossia l’acqua, a causa della ridotta temperatura, si staccava da nucleo cometario sotto forma di particelle di ghiaccio e non permetteva la dissociazione che invece è avvenuta in seguito. Tra 3 e 2 AU l’emissione di CO ha subito un’attenuazione: una possibile spiegazione di tale fenomeno consiste nell’ipotizzare una trasformazione della crosta cometaria da ghiaccio amorfo (permeabile) a ghiaccio cristallino (meno permeabile), ostacolando la fuoriuscita del monossido di carbonio. Inoltre, ad una distanza dal Sole inferiore a 3 AU, il metanolo (CH3OH) tendeva ad aumentare lievemente. Secondo diversi studi, l’abbondanza di metanolo nei nuclei cometari potrebbe suggerire la provenienza delle comete. Se si nota, tramite analisi spettrale, un’abbondanza di metanolo superiore al 3% rispetto all’abbondanza di acqua, molto probabilmente le comete provengono dalla Nube di Oort. Se invece la quantità di metanolo è inferiore al’1% rispetto all’acqua, la regione di provenienza è, presumibilmente, la più vicina Fascia di Kuiper. Per gli altri composti chimici l’aumento di emissione è risultata essere proporzionale all’avvicinamento al Sole.

Uno studio condotto da McKay A. J. et al., nel 2011 aveva lo scopo di comprendere se l’emissione di molecole potesse variare lungo la direzione di avvicinamento al Sole rispetto alla direzione opposta. Acquisendo lo spettro della cometa periodica 103P/Hartley nel visibile, prima e dopo il suo passaggio al perielio (avvenuto il 28 Ottobre 2010), si è potuto stimare la quantità di CN, C3, C2, CH ed NH2 emessi nella direzione verso il Sole (individuati dalle linee tratteggiate) e nella direzione opposta al Sole (individuati dalle linee continue). Analizzando gli spettri del cianogeno (CN) sembra che non ci sia alcuna asimmetria nella sua emissione. Infatti CN viene emesso dal nucleo cometario con uguale abbondanza sia lungo la direzione del Sole che in quella opposta. L’emissione di C3, C2, CH ed NH2 mostra, invece, delle asimmetrie nelle due direzioni. In particolare, sembra che C2 venga emesso nella direzione antisolare con una quantità superiore ad un fattore 2 rispetto a quella emessa lungo la direzione del Sole. Anche C3 viene emesso maggiormente nella direzione opposta al Sole, anche se il fattore di emissione è inferiore a 2. Come si evince dal grafico, inoltre, l’emissione di CH della cometa 103P/Hartley sembra essere quasi assente nella direzione del Sole, la quale avviene quasi totalmente lungo la direzione antisolare.

Studi così approfonditi sono in fase di realizzazione per la cometa C/2014 Q2, ma lo spettro visibile in bassa risoluzione allegato, acquisito l’1 Gennaio 2015 presso l’Osservatorio Astrofisico R.P.Feynman mostra il tipico aspetto. Si notano i picchi di emissione associati alle molecole che, sublimando dal nucleo quando la cometa è in avvicinamento al Sole, generano il fenomeno della fluorescenza. I picchi di emissione si manifestano a specifiche lunghezze d’onda a seconda delle molecole responsabili del fenomeno. Infatti i picchi a 4700A e 5100A individuano l’emissione di fluorescenza dovuta al C2 che è responsabile del colore verde della chioma. Il picco di emissione dovuto al CN a 3880A suggerisce che anche il cianogeno contribuisce alla colorazione della chioma fornendo una tonalità violacea. Il nostro occhio, però, non è molto sensibile a tale lunghezza d’onda e non è facile percepire questo colore. In più l’altezza del picco individua l’intensità dell’emissione, strettamente connessa con l’abbondanza dell’elemento chimico.

Come accennato prima la coda di ioni è solitamente azzurrognola e la coda di particelle cariche della cometa Lovejoy non è da meno: lo spettro è composto da righe di emissione associate alla fluorescenza da parte degli ioni cometari, molto probabilmente ioni d’acqua H2O+ e ioni di monossido di carbonio CO+. La coda di polveri è invece caratterizzata da uno spettro continuo poiché le polveri diffondono la radiazione solare con uguale intensità a tutte le lunghezze d’onda.

La Lovejoy ci terrà compagnia ancora per un po’ e se il meteo sarà clemente potremmo continuare ad ammirarla e a studiarla in dettaglio.

Osservare una cometa al telescopio è un’emozione intensa, non solo per gli specialisti ma anche per chi nutre una forte passione per gli oggetti celesti e le fredde notti invernali non sono di certo un ostacolo insormontabile.

Chi dovesse perdersi lo spettacolo potrebbe riprovarci fra 8000 anni, sempre se è in possesso dell’Elisir di lunga vita!

Per la prima volta su una cometa. Rosetta nella storia dell’esplorazione spaziale – Giulia Alemanno

Per la prima volta su una cometa Fin dall’antichità gli uomini sono stati affascinati e terrorizzati dalle comete. Questi corpi celesti suscitavano paura e, tranne rare eccezioni, come la nascita di Cristo, venivano considerate portatrici di sventure. Curiosamente si riteneva che le sventure fossero dirette a persone benestanti come i re, gli imperatori, i principi e i papi. “Quando muoiono mendicanti non si vedono comete” scrisse Shakespeare nel “Giulio Cesare”. Di tanto in tanto questi oggetti, che risiedono agli estremi confini del Sistema Solare, vengono a farci visita offrendoci uno spettacolo bellissimo. Quando si avvicinano al Sole liberano gli elementi volatili in essi contenuti creando la chioma, un’atmosfera gassosa e polverosa che circonda il nucleo cometario, e due code: una coda di plasma, di colore azzurrognolo, formata da un flusso di ioni che lasciano la chioma e vengono accelerati in direzione opposta al Sole e una coda di polvere, di colore giallognolo, costituita invece da una scia di polvere. La forma delle code è determinata da un effetto combinato tra la pressione di radiazione solare e il moto orbitale. La coda di ioni ha generalmente una forma rettilinea in quando è costituita da particelle di gas che vengono accelerate a velocità maggiori e pertanto non risentono del moto orbitale. La coda di polveri acquisisce invece una caratteristica forma arcuata a causa dell’influenza del moto orbitale sulle particelle in essa contenute. Talvolta si possono presentare delle strutture particolari in cui le varie particelle che lasciano la chioma vanno a formare un ventaglio di code. Questa struttura è dovuta alla presenza di particelle di diverse dimensioni e massa che pertanto risentono in maniera diversa della spinta della pressione di radiazione solare e dell’influenza del moto orbitale.

Per secoli le comete sono state osservate esclusivamente da Terra ad occhio nudo o attraverso l’utilizzo dei telescopi. A partire dalla fine del ventesimo secolo, grazie all’avvento delle sonde spaziali, la situazione è cambiata radicalmente. Da allora è stato possibile avvicinarsi alle comete ed osservarle da vicino. Nel 1985 la sonda della NASA chiamata International Cometary Explorer (ICE) passò per la prima volta attraverso la coda di una cometa, la 21P/Giacobini-Zinner, volando alla distanza di 7800 km dal nucleo. Soltanto un anno dopo, in occasione del ritorno della cometa di Halley nei nostri cieli (si tratta della cometa più famosa, battezzata così in onore di Edmund Halley che nel 1682 ne predisse la periodicità pari circa a 76 anni), un gruppo di sonde spaziali furono inviate per studiare la cometa da vicino tra cui due missioni russe (Vega-1 e Vega-2), due giapponesi (Sakigake e Suisei) e l’europea Giotto. Quest’ultima è arrivata più vicina rispetto alle altre sonde, volando ad una distanza di 600 km dalla cometa e inviando immagini dettagliate del suo nucleo. Grazie alla sonda Giotto si scoprì che le comete contengono molecole organiche complesse e che quindi possono aver contribuito a seminare la vita sulla Terra. Dopo l’incontro ravvicinato con la cometa di Halley, la sonda Giotto ha continuato il suo viaggio incontrando nel 1992 la cometa 26P/Grigg-Skjellerup.

Purtroppo la camera di Giotto era stata oscurata dalle polveri della cometa di Halley ma comunque è stato possibile osservare, seppur con maggiore difficoltà, il nucleo di quest’altra cometa passando alla distanza di 200 km da esso. Alla missione Giotto ne sono seguite altre come le sonde della NASA: Depp Space 1, Stardust e Deep Impact. La prima volò nelle vicinanze della cometa 19P/Borelly nel 2001, la seconda avvicinandosi alla cometa 81P/Wild nel 2004 riuscì a prelevare alcuni campioni della sua chioma e a riportarli a Terra 2 anni dopo. In quei campioni è stata scoperta nella polvere della cometa Wild la presenza di glicina, uno degli amminoacidi essenziali per la costruzione delle proteine. La terza missione citata (Deep Impact) nel 2005 ha lanciato un blocco di rame contro la cometa 9P/Tempel allo scopo di creare un cratere e studiare la composizione della cometa sotto la sua superficie. Per osservare il cratere creato è stata poi inviata sei anni dopo la sonda Stardust-Next. In seguito tale sonda è stata fatta volare, insieme alla sonda EPOXI, vicino alla cometa 103P/Hartley nel 2010, alla cometa C/2009 P1 (Garradd) nel 2012 e alla cometa C/2012 S1 (ISON) nel 2013. Ma la più ambiziosa delle missioni è Rosetta realizzata allo scopo di inseguire una cometa, entrare in orbita attorno ad essa ed infine atterrare sulla sua superficie. Si pensò a questa missione a partire dal 1970 ma essa fu approvata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) solo nel Novembre del 1993.

Rosetta è la prima sonda inviata verso una cometa che è dotata di un lander in grado di scendere sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e accompagnarla nel suo viaggio attorno al Sole. La sonda Rosetta è stata costruita da un team industriale formato da ben 50 imprese di 14 Paesi Europei e degli Stati Uniti. Il nome Rosetta ha una ragione ben precisa. Esso deriva dalla Stele di Rosetta, un’antica tavoletta di pietra egiziana risalente al II secolo a.C. ritrovata nei pressi della città egiziana Rashid (Rosetta) sul delta del Nilo nel 1799. La Stele è famosa perché riporta lo stesso testo scritto in tre lingue diverse: antichi geroglifici egiziani, demotico e greco antico. Ciò ha permesso agli archeologi di decifrare i geroglifici per la prima volta fornendo così la chiave per comprendere la civiltà egizia. Come la Stele di Rosetta ci ha permesso di scoprire gli aspetti salienti di questa antica civiltà, allo stesso modo ci si augura che la missione Rosetta possa aiutarci a svelare i misteri dei più antichi mattoni del nostro Sistema Solare.  

Ci sono centinaia di comete che orbitano attorno al Sole, perché è stata scelta proprio la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko? Una serie di motivi hanno portato alla scelta di questa cometa. Innanzitutto, tra tutte le comete si è ritenuto vantaggioso sceglierne una di quelle che mostrano un percorso orbitale abbastanza vicino al piano dell’eclittica. Questo permette osservazioni maggiormente prolungate e un atterraggio in linea di principio più semplice. Così in un primo momento è stata scelta la cometa 46P/Wirtanen, ma in seguito, poiché il lancio della sonda fu rinviato per un problema al lanciatore, la scelta è ricaduta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, Quest’ultima è stata osservata per la prima volta nel 1969 quando diversi astronomi provenienti da Kiev si recarono presso l’Alma-Ata Astrophysical Institute in Kazakhstan per condurre uno studio sulle comete. L’astronomo Kim Churyumov, osservando una foto della cometa 32P/Comas Solà ottenuta da Svetlana Gerasimensko, si accorse della presenza di un altro oggetto cometario. La cometa 67P/C-G è una cometa a corto periodo, ovvero appartiene alla classe di quelle comete caratterizzate da un periodo orbitale minore di 20 anni e da una bassa inclinazione orbitale. Si tratta di comete che durante il loro primo viaggio all’interno del Sistema Solare sono state catturate dall’attrazione gravitazionale di Giove ed immesse in un’orbita più stretta attorno al Sole. Queste comete fanno parte della cosiddetta famiglia di Giove e si crede provengano dalla fascia di Kuiper, una fascia di corpi ghiacciati situata al di là dell’orbita di Nettuno. Alcuni di questi corpi, in seguito a perturbazioni gravitazionali, vengono spinti nella regione interna del Sistema Solare.

L’analisi dell’evoluzione orbitale della cometa mostra che prima del 1940 al perielio la sua distanza dal Sole era pari a 4 UA (600 milioni di km). A questa distanza la cometa era troppo lontana dal calore del Sole per sviluppare una coda e pertanto era inosservabile da Terra. Nel 1940, in seguito ad un incontro ravvicinato con Giove, l’orbita della cometa è cambiata e quest’ultima ha raggiunto al perielio una distanza dal Sole pari a 3 UA (450000 km). Un altro incontro ravvicinato con Giove, nel 1959, ha spostato il perielio della cometa a 1.29 UA, valore che è rimasto grosso modo invariato fino ad oggi. Attualmente essa compie una rivoluzione attorno al Sole in 6,45 anni.

La cometa 67P è classificata come una cometa di polveri (il rapporto polveri gas emessi è 2:1), ha una massa di 1013 kg ed una densità di 0.4 g/cm3 ed è stata osservata dalla Terra ben 7 volte, nel:

  • 1969 – anno della scoperta;

  • 1982/83 – anno in cui è stato registrato un picco di polvere di 220 kg al secondo;

  • 1988/89 – la cometa è stata osservata dagli astronomi dell’osservatorio di Monte Palomar in California, dagli astronomi dell’osservatorio di Manua Kea nelle Hawaii e da quelli dell’Osservatorio Nazionale di Kitt Peak in California.

  • 1995/96 – la cometa è arrivata alla distanza di 0.9 UA dalla Terra ed è diventata più luminosa della magnitudine 13.

  • 2002/03 – la Wilde Field Planetary Camera a bordo dell’ Hubble Space Telecope ha ottenuto 61 immagini della cometa cha hanno permesso di stimare una forma ellissoidale del nucleo (smentita poi all’arrivo di Rosetta, come vedremo meglio di seguito). Nello stesso anno è stato registrato un picco di polvere pari a 60 kg al secondo;

  • 2009 – è stato osservato che, come la maggior parte delle comete, anche nel caso della cometa 67P l’attività al perielio non è distribuita in maniera uniforme ma sono stati registrati getti provenienti da differenti aree attive della cometa. Recenti osservazioni suggerivano che l’inclinazione dell’asse di rotazione della cometa era pari a circa 40°. Ciò vuol dire che quando si avvicina al Sole, l’emisfero Nord della cometa è illuminato mentre quello sud no. In questa situazione i getti di polveri e gas della cometa non sono visibili. E’ possibile osservarli invece un mese prima del perielio. Se la cometa si comporterà nello stesso modo nel prossimo avvicinamento al Sole (2015), si avrà la stessa situazione.

Grazie alla missione Rosetta sono già stati fatti enormi passi avanti sulla conoscenza della struttura della cometa e si è ancora nelle fasi preliminari di analisi dei dati! La sonda è stata lanciata nello spazio da Kourou a bordo di Ariane 5G+ il 2 Marzo 2004 ed ha viaggiato per ben 10 anni nello spazio prima di raggiungere la cometa. Per poter arrivare a destinazione Rosetta ha dovuto effettuare un tragitto complesso sfruttando anche il cosiddetto effetto fionda (gravity assist) da parte della Terra e di Marte. Si tratta di un meccanismo di accelerazione (o eventualmente anche di decelerazione) che sfrutta la gravità di un pianeta o di un corpo presente lungo il suo tragitto per modificare i parametri dinamici della sonda “gratuitamente” per così dire. Una volta lanciata la sonda ha inanellato una serie di orbite che l’hanno portata per ben tre volte ad un incontro ravvicinato (flyby) con la Terra e ad un incontro ravvicinato con Marte. Ogni volta la sonda ha cambiato la sua velocità e la sua traiettoria grazie all’energia del campo gravitazionale di questi due pianeti. Durante i flyby gli scienziati hanno colto l’opportunità di fare osservazioni in contemporanea ad altri veicoli come le sonde Mars Express, ENVISAT e Cluster. Gestire i flyby è piuttosto complesso e ha richiesto mesi di preparazione. Ad esempio nell’incontro ravvicinato con Marte la sonda è passata alla distanza di 250 km dalla superficie del pianeta entrando nella sua ombra per ben 24 minuti. Fu grande il sollievo quando la sonda ricomparve in “ottima salute” dopo il passaggio dietro Marte.

Durante il suo viaggio Rosetta ha incontrato ben due asteroidi. Questi incontri hanno permesso agli scienziati di testare e verificare le prestazioni degli strumenti a bordo della sonda. Il 5 Settembre del 2008 Rosetta è volata alla distanza di 800 km dall’asteroide Steins, un piccolo asteroide di 5 km di diametro. Si è cercato così di catturare immagini e dati attraverso la camera OSIRIS a bordo della sonda. Nel successivo incontro con l’asteroide Lutetia nel Luglio del 2010, Rosetta è stata fatta volare ad una distanza maggiore (pari a 3170 km) in modo che tutto l’asteroide entrasse nel suo campo visivo, la camera a bordo della sonda ha ripreso l’asteroide Lutetia insieme a Saturno. Dalle immagini acquisite si è notato che Lutetia si presenta come un pianetino in miniatura la cui superficie ha subito vari impatti come testimoniato dalla presenza di grandi crateri. Lutetia ha un diametro di 130 km ed a quel tempo era il più grande asteroide mai visto. La superficie di questo asteroide è polverizzata e povera di metalli. Inoltre è stata osservata la presenza di minerali idrati.

Images (from left to right) taken 60, 30 and 3 minutes prior to closest approach showing the different regions of asteroid (21) Lutetia. Credit: ESA 2010 MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/RSSD/INTA/ UPM/ DASP/IDA

La sonda Rosetta è dotata di due grandi pannelli solari molto efficienti costruiti secondo una tecnologia completamente nuova per l’epoca. Ma poiché la sonda si è allontanata dal Sole più di qualsiasi altro veicolo spaziale utilizzato in precedenza, per far sì che l’energia sia sufficiente per mantenere tutti i sistemi del veicolo spaziale operativi, l’8 Giugno 2011 Rosetta è stata “messa a dormire” per ben due anni, sette mesi e dodici giorni: sono stati disabilitati tutti gli strumenti e apparati di supporto ad eccezione del computer di bordo, di alcuni riscaldatori interni fino alle ore 10:00 del 20 Gennaio 2014 giorno stabilito per il risveglio della sonda. La successiva riattivazione è stata sicuramente una delle fasi più critiche dell’intera missione. Il 7 Maggio 2014 sono iniziate le manovre di avvicinamento alla cometa. In totale Rosetta ha compiuto ben 10 manovre per ridurre la sua velocità. L’ultima manovra è stata eseguita il 6 Agosto 2014. Durante il periodo di avvicinamento le camere a bordo della sonda hanno iniziato a risolvere la cometa 67P/C-G. Nel luglio 2014 le immagini catturate dalla sonda hanno rivelato che la cometa ha una forma piuttosto complessa: è formata da due lobi, come una “testa” ed un “corpo” separati da un collo stretto. Ci si rese conto così che l’atterraggio sulla cometa sarebbe stato più difficile di quanto si era immaginato. Ciò ha reso complessa anche la scelta del sito di atterraggio del lander (chiamato Philae dal nome di un’isola dell’antico Egitto): la superficie della cometa presenta, infatti, terreni difficili e rischiosi, pieni di crateri e massi.

La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko vista da Rosetta – Credits: ESA/Rosetta/NAVCAM

La scelta del sito di atterraggio era inoltre complicata da un serie di fattori legati alla temperatura superficiale della regione, che deve essere né troppo calda né troppo fredda per permettere il corretto funzionamento degli strumenti. Dopo un intenso periodo di analisi dettagliate delle varie regioni della cometa e delle capacità del lander durato ben 6 settimane, è stata scelta come sito di atterraggio una regione particolarmente interessante. A tale regione, inizialmente indicata con la lettera J, è stato dato il nome di Agilkia (dall’isola Agilkia situata vicino alle rive del Nilo a sud dell’Egitto). Il sito J è una zona di grande interesse scientifico situata vicino ad una grande depressione sul lobo più piccolo della cometa. Inizialmente erano stati scelti 5 possibili siti di atterraggio indicati con le lettere A, B, C, I e J, ma tra tutti quello meno rischioso era proprio Agilkia, il sito J. Qui la maggior parte del terreno ha pendenze inferiori ai 30° e ci sono relativamente pochi massi di grandi dimensioni. Questa area riceve inoltre un’illuminazione quotidiana sufficiente a ricaricare Philae e far sì che possa continuare le sue operazioni. Il sito di atterraggio è stato scelto dal Landing Site Selection Group (LSSG), un gruppo formato da scienziati e ingegneri del team di Rosetta e del centro di controllo del lander.

Il distacco del lander Philae dalla sonda Rosetta è avvenuto alle ore 9:30 del 12 Novembre. La discesa al sito di atterraggio ha richiesto come previsto 7 ore in cui Philae è caduto sulla superficie lentamente senza l’utilizzo di propulsori.

Durante la discesa, le camere a bordo dell’orbiter e del lander hanno acquisito immagini ed alcuni esperimenti erano già attivi permettendo l’acquisizione di dati. Tutto ciò alla scopo di manovrare e controllare l’atterraggio. Tutto è stato controllato nei minimi dettagli. E’ stato necessario tener conto che la gravità sulla cometa è centomila volte più debole di quella terrestre. Purtropo il malfunzionamento di alcuni sistemi di ancoraggio non ha potuto evitare che il lander rimbalzasse due volte prima di stabilizzarsi in una posizione abbastanza precaria ma che comunque non ha impedito l’utilizzo di alcuni degli strumenti scientifici a bordo. E’ stata una grande emozione assistere al primo atterraggio su una cometa. Philae ha raggiunto la superficie della cometa alle ore 16:30. Circa mezz’ora dopo, quando il segnale è arrivato a Terra, abbiamo visto gioire gli scienziati della missione. Un lander partito da Terra 10 anni fa, progettato ancora prima, dopo aver seguito un percorso complesso nello spazio, è arrivato in “ottima salute” sulla superficie della cometa 67P attualmente alla distanza di 583.565.417 km da noi. E’ un grande risultato per l’Europa e per tutte le persone che hanno ideato, studiato e realizzato questa missione storica. Ora che è atterrato Philae può acquisire immagini panoramiche 3D ad alta risoluzione.

“Philae is on the surface and doing a marvellous job, working very well and we can say we have a very happy lander,” says Paolo Ferri, ESA’s Head of Mission Operations at ESOC – Credits: ESA/Rosetta/Philae/CIVA

Sarà possibile fare misure in loco sulla composizione dei ghiacci della cometa e del materiale organico. Si potrà, inoltre, prelevare ed analizzare campioni dalla profondità di 23 cm. Il lander sarà anche in grado di effettuare misure elettriche e meccaniche della superficie della cometa. Tutti i dati acquisiti da Philae verranno inviati all’orbiter che sarà pronto per trasmetterli a Terra, compatibilmente con le riserve energetiche della batteria di bordo e quelle prodotte dai pannelli solari che purtroppo non possono funzionare a regime a causa della posizione anomala in cui si trova Philae. Il lander continuerà a monitorare le proprietà fisiche e chimiche della superficie della cometa studiando come queste evolvono man mano che la cometa si avvicina al Sole. Per quanto riguarda invece l’orbiter, quest’ultimo, in un primo momento, si manterrà abbastanza vicino al nucleo cometario. A partire da Febbraio 2015, con l’aumento dell’attività cometaria, sarà allontanato dal nucleo cometario per evitare di compromettere il funzionamento della sonda. In questa fase si studierà l’evoluzione della chioma e della coda della cometa. Nel mese di Luglio, Rosetta volerà nelle vicinanze di una regione attiva della cometa. Quest’ultima raggiungerà il perielio nel mese di Agosto 2015 passando alla distanza di 186 milioni di km dal Sole, in una regione compresa tra le orbite di Terra e Marte. In seguito Rosetta seguirà il declino dell’attività cometaria almeno fino alla fine del 2015.

L’orbiter ha dimensioni di  2.8×2.1x2m con due pannelli solari lunghi 14m e contiene ben 11 esperimenti:

  • ALICE – Ultraviolet Imaging Spectrometer – si tratta di uno spettrometro che raccoglie dati nel lontano ultravioletto in un range compreso tra 70 e 205 nm allo scopo di studiare la composizione del nucleo e della chioma della cometa. Lungo il tragitto verso la cometa ALICE ha studiato Marte e gli asteroidi Steins e Lutetia;

  • CONSERT – Comet Nucleus Sounding Experiment by Radio wave Transmission – è un sistema di trasmissione di onde radio che lavorerà tra l’orbiter e il lander e verrà utilizzato per studiare la composizione del nucleo cometario. CONSERT consiste in un segnale radio che verrà inviato dallo strumento alla superficie del nucleo. La variazione nella propagazione delle onde nelle diverse parti del nucleo cometario permetterà di determinare le proprietà dielettriche dei materiali di cui è composto;

  • COSIMA – Cometary Secondary Ion Mass Analyser – si tratta di uno spettrometro di massa di ioni secondari dotato di un collettore di polvere. La polvere dell’ambiente circostante la cometa viene raccolta su un bersaglio. Le particelle di polvere vengono bombardate da ioni di indio e gli ioni secondari prodotti vengono estratti nello spettrometro di massa;

  • GIADA – Grain Impact Analyser and Dust Accumulator – misura la velocità, la quantità di moto e la dimensione delle particelle di polvere della chioma cometaria attraverso un sistema di rilevazione ottico e un sensore meccanico che avverte l’impatto delle particelle;

  • MIDAS – Micro-Imaging Dust Analysis System – si occupa di analisi microstrutturali delle particelle di polvere basandosi sulla microscopia a forza atomica, una tecnica che permette analisi delle particelle di polvere con una risoluzione spaziale di 4 nm;

  • MIRO – Microwave Instrument for the Rosetta Orbiter – si tratta di ricevitori di onde millimetriche che permettono di misurare la temperatura in prossimità della superficie della cometa;

  • OSIRIS – Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System – è una camera che lavora nell’ottico, nel vicino infrarosso e nel vicino ultravioletto. E’ formata da un sistema di due telecamere. Una camera è stata progettata per poter ottenere immagini ad alta risoluzione del nucleo cometario. La seconda camera ha invece un campo visivo più ampio che permette l’osservazione di gas e polvere presente al di sopra della superficie del nucleo cometario;

  • ROSINA – Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis – è formata da due spettrometri di massa ad altissima sensibilità e risoluzione;

  • RPC – Rosetta Plasma Consortium – è costituito da 5 strumenti che studiando l’ambiente gassoso che circonda il nucleo cometario:

 ICA- Ion Composition Analyser – misura la distribuzione tridimensionale delle velocità degli ioni positivi e la loro distribuzione di massa;

IES – Ion and Electron Sensor – misura simultaneamente il flusso di elettroni e di ioni nel plasma che circonda il nucleo;

LAP – Langmuir Probe – misura la densità, la temperatura e la velocità di flusso del plasma cometario;

MAG – Fluxgate Magnetometer – misura il campo magnetico laddove il vento solare interagisce con il flusso cometario;

MIP – Mutual Impedance Probe – misura la densità degli elettroni, la temperatura e la velocità della parte interna della chioma;

  • RSI – Radio Science Investigation – si tratta del sistema di comunicazione tra la sonda Rosetta e la Terra; ü     VIRTIS – Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer – è uno strumento costruito parte in Italia parte in Francia, a cui ha contribuito anche il Gruppo di Astrofisica dell’Università del Salento ed è considerato uno degli esperimenti più importanti della missione Rosetta. VIRTIS è uno spettrometro a immagine che lavora nel range spettrale che va dal visibile all’infrarosso ed è costituito da uno spettrometro di risoluzione moderata noto come Mapper optical subsystem o VIRTIS-M (opera italiana, alla cui realizzazione ha contributo il nostro gruppo di Astrofisica) ed uno spettrometro ad alta risoluzione detto High-resolution optical subsystem o VIRTIS-H. VIRTIS-M è formato da due canali uno dei quali lavora nel visibile (tra 0.25 e 1 µm) e l’altro nell’infrarosso (tra 0.95 e 5 µm). VIRTIS-H lavora nell’infrarosso (tra 2.0 e 5.0 µm) ed è invece opera dei francesi.

Gli obiettivi di VIRTIS includono lo studio del nucleo cometario e del suo ambiente, la determinazione della natura dei solidi che compongono la sua superficie, l’identificazione delle specie gassose che circondano il nucleo, lo studio delle condizioni fisiche della chioma ed infine la determinazione della temperatura superficiale del nucleo. Il team di VIRTIS è composto da 48 scienziati provenienti da 28 Istituti di 7 Nazioni. Siamo ancora all’inizio della missione e sono già stati ottenuti 3 milioni di spettri, è stato possibile determinare la temperatura superficiale della cometa ed osservare come tutta la sua superficie è ricoperta da una patina di materiale organico. VIRTIS ha stabilito che la temperatura media della superficie della cometa è di 205 °K ma varia durante il giorno raggiungendo i 230 °K. Grazie allo strumento VIRTIS è stata inoltre rilevata la presenza di monossido di carbonio, biossido di carbonio e tracce di ammoniaca, metano e metanolo.   Anche gli altri strumenti a bordo della sonda hanno già iniziato a dare i primi risultati. Nel mese di Luglio lo strumento MIRO ha rilevato che la cometa stava rilasciando piccole quantità di vapore acqueo, circa 300 ml al secondo.

A metà settembre la quantità è aumentata ad un tasso medio di 1 l al secondo. Gli esperimenti RSI e OSIRIS hanno permesso di determinare periodo di rotazione, asse di rotazione, massa, volume e densità del nucleo cometario. COSIMA e GIADA hanno rivelato che le dimensioni dei grani di polvere vanno dai pochi micron a qualche centinaio di micron. COSIMA, studiando la composizione dei grani, ha rilevato in essi la presenza di sodio e magnesio. Così grazie a queste prime misure è stato possibile notare alcune caratteristiche superficiali della cometa 67P/C-G il cui nucleo risulta essere piuttosto scuro, asciutto, polveroso e con una chimica abbastanza complessa.   Ma abbiamo ancora tanto da imparare e questo sarà possibile grazie anche agli esperimenti del lander.

Il lander Philae ha dimensioni di 1x1x1m e contiene 10 esperimenti:

  • APXS – Alpha-p-X-ray spectrometer – è uno spettrometro il cui obiettivo è quello di studiare la composizione chimica del sito di atterraggio e come questa varia all’avvicinarsi al Sole;

  • CIVA – Panoramic and microscopic imaging system – un sistema di 6 microcamere che scatteranno foto panoramiche della superficie della cometa. Inoltre uno spettrometro studierà la composizione, la struttura e l’albedo dei campioni prelevati dalla superficie;

  • CONSERT – Radio sounding, nucleus tomography – un esperimento che opera tra il lander e l’orbiter di cui si è parlato prima;

  • COSAC – Evolved gas analyser – elemental and molecular composition – mira allo studio della composizione della componente volatile del materiale cometario mediante misure in situ;

  • PTOLEMY – Evolved gas analyser – isotopic composition – utilizzerà tecniche di gascromatografia e spettrometria di massa per studiare la composizione della cometa sopra e sotto la sua superficie;

  • MUPUS – MUlti-PUrpose Sensors for Surface and Sub-Surface Science – si tratta di sensori realizzati allo scopo di comprendere le proprietà de materiali che compongono gli strati superficiali del nucleo cometario e fornire una mappa termica;

  • ROLIS – Rosetta Lander Imaging System – è una camera che fornirà immagini durante l’atterraggio del lander;

  • ROMAP – Rosetta Lander Magnetometer and Plasma Monitor – si tratta di un sensore in grado di misurare il campo magnetico;

  • SD2 – Drilling and sample retrieval – è un sistema che permette di prelevare i campioni da una profondità di 250 mm e li trasporta nei diversi strumenti;

  • SESAME – Surface Electric Sounding and Acoustic Monitoring Experiment – aiuterà a comprendere come le comete si sono formate ed è formato da tre differenti parti:

SESAME/CASSE – Surface Electric Sounding and Acoustic Monitoring Experiment / Comet Acoustic Surface Sounding Experiment;

SESAME/DIM – Surface Electric Sounding and Acoustic Monitoring Experiment / Dust Impact Monitor;

SESAME/PP – Surface Electric Sounding and Acoustic Monitoring Experiment / Permittivity Probe.  Complessivamente tutti gli esperimenti si propongono di studiare l’ambiente all’interno ed all’esterno della cometa.  

Si tratta di una missione unica, per la prima volta siamo atterrati su una cometa e ora abbiamo la possibilità di studiare questi oggetti come mai è stato possibile fino ad ora. Speriamo di riuscire a svelare i segreti più profondi che questi oggetti ci nascondono.

Per la prima volta su una cometa. Rosetta nella storia dell’esplorazione spaziale, Parte II – Giulia Alemanno

Era il 6 Agosto 2014 quando la sonda Rosetta ha compiuto l’ultima manovra di avvicinamento alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ponendosi a circa 100 km dalla superficie del nucleo cometario (a cui si è poi ulteriormente avvicinata per permettere l'”accometaggio” di Philae) ed è tempo di analizzare i primi risultati scientifici. Nel precedente articolo abbiamo visto nel dettaglio la storia della missione Rosetta, il suo viaggio verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko; abbiamo seguito le varie tappe della discesa del lander Philae sulla superficie della cometa ed analizzato gli esperimenti a bordo dell’orbiter e del lander. Qui vedremo i primi ed importanti risultati ottenuti da Rosetta. Recentemente (il 23 Gennaio 2015) sono stati pubblicati, infatti, in un’edizione speciale della prestigiosa rivista Science, i primi lavori relativi a 7 degli 11 esperimenti  a bordo dell’orbiter Rosetta. Ricordiamo brevemente che tali esperimenti sono:

  • ALICE –  uno spettrometro a immagine che lavora nell’ultravioletto;

  • CONSERT –  un sistema di trasmissione a onde radio che studia la composizione del nucleo cometario;

  • COSIMA – uno spettrometro di massa progettato con lo scopo di studiare la composizione della polvere cometaria;

  • GIADA – un sistema dotato di un rivelatore ottico ed un sensore meccanico che studiano caratteristiche delle particelle di polvere quali velocità, quantità di moto e dimensione;

  • MIDAS – un sistema che si occupa di analisi microstrutturali delle particelle di polvere;

  • MIRO – ricevitori di microonde in grado di misurare la temperatura in prossimità della superficie della cometa.

  • OSIRIS  – una camera che lavora nell’ottico, nel vicino infrarosso e nel vicino ultravioletto;

  • ROSINA – dotata di due spettrometri di massa per l’analisi degli ioni cometari;

  • RPC – costituita da 5 sensori che studiano l’ambiente cometario;

  • RSI – che gestisce le comunicazioni tra l’orbiter e il lander Philae;

  • VIRTIS – uno degli esperimenti più importanti della missione Rosetta alla cui realizzazione ha contribuito il gruppo di Astrofisica dell’Università del Salento. Si tratta di uno spettrometro che lavora nel visibile e nel vicino infrarosso con l’obiettivo di studiare la composizione del nucleo cometario e riconoscere quali sono i solidi che compongono la sua superficie. Grazie a VIRTIS sono stati ottenuti, come vedremo a breve, risultati importanti per la comprensione della natura della cometa.

Già durante l’avvicinamento di Rosetta alla cometa, grazie alle immagini scattate dalla camera OSIRIS, è stato possibile notare che la cometa è formata da due lobi. Analisi più dettagliate hanno permesso poi di determinare la dimensione di ogni lobo: il più piccolo misura 2.6×2.3×1.8km invece il lobo più grande misura 4.1×3.3×1.8km. Inoltre, è stato ottenuto il volume totale della cometa pari a 21.4km3. Lo strumento RSI ha poi misurato la massa del nucleo cometario che risulta essere pari a ben 10 miliardi di tonnellate. Da ciò si deduce che la densità del nucleo della cometa è pari a 470kg/m3. Supponendo che globalmente la cometa sia costituita prevalentemente da ghiaccio d’acqua e polvere con una densità di 1500-2000kg/m3, se ne deduce che la cometa ha una struttura interna costituita da ghiaccio legato in maniera piuttosto debole a mucchi di polvere con piccoli spazi vuoti tra loro. La cometa risulta pertanto avere un’elevata porosità del 70-80%.

La camera OSIRIS ha permesso poi di suddividere parte della superficie della cometa in 19 regioni separate da confini ben distinti dal punto di vista geomorfologico. Queste regioni coprono il 70% della superficie cometaria e sono state indicate con i nomi di alcune divinità egiziane. Tutto ciò per mantenere il tema egiziano. Ricordiamo infatti che il nome Rosetta deriva dall’antica Stele ritrovata nei pressi della città egiziana Rashid (Rosetta) sul delta del Nilo nel 1799 che ha permesso di decifrare per la prima volta i geroglifici fornendo la chiave per comprendere l’antica civiltà. Allo stesso modo ci si augura che questa missione ci permetta di comprendere la struttura dei più antichi mattoni dell’universo: le nostre comete.  

L’immagine rilasciata dall’ESA il 22 Gennaio 2015, mostra le 19 regioni in cui è stato suddiviso il 70% della superficie della cometa 67P/C-G a seconda della caratteristiche geomorfologiche del terreno di cui sono costituite.

Le regioni in cui è stata suddivisa la superficie del nucleo cometario possono essere raggruppate in 5 differenti categorie in base al tipo di terreno da cui sono costituite. Vi sono superfici ricoperte da spessi strati di polveri come quelle delle regioni Ma’at, Ash e Babi e superfici maggiormente consolidate dette appunto ‘rock-like’, vale a dire ‘simili alla roccia’ (Maftet, Bastet, Serqet; Hathor, Anuket, Khepry, Aker, Atum e Apis); poi vi è Seth una regione costituita da materiali fragili che presenta pozzi e strutture circolari; le regioni Hatmehit, Nut e Aten che presentano depressioni su larga scala ed infine le regioni Hapi, Imhotep e Anubis costituite da terreni lisci. Il restante 30% della superficie della cometa non è stato ancora studiato nel dettaglio poiché non ha ricevuto un’illuminazione solare sufficiente per poter essere osservato accuratamente dagli strumenti di Rosetta.

Dai dati ottenuti è quindi emerso che gran parte dell’emisfero settentrionale della cometa è ricoperto da polvere. Il ricoprimento di polvere raggiunge diversi metri di spessore in alcune regioni della cometa. Secondo analisi condotte dall’esperimento MIRO la polvere gioca un ruolo importante nell’isolare l’interno della cometa proteggendo così i ghiacci lì situati.

Durante il periodo di avvicinamento al Sole la cometa subisce un crescente riscaldamento, pertanto in queste regioni le sostanze volatili evaporano direttamente andando a formare l’atmosfera o chioma della cometa e la polvere viene trascinata via con tali sostanze a velocità inferiori. Le particelle che non sono sufficientemente veloci non riescono a sfuggire all’attrazione gravitazionale del nucleo cometario pertanto tornano a depositarsi su di esso. Sono state inoltre osservate altre regioni attive della cometa. Gas sembrano fuoriuscire anche da ‘pozzi’ della cometa. Tali gas giocano un ruolo importante nel trasporto della polvere creando increspature simili a dune in corrispondenza di massi che ostacolano la direzione del flusso di gas.

Immagine ottenuta dalla camera OSIRIS che mostra una zona attiva nella regione Seth della cometa 67P/C-G. Aumentando il contrasto si possono notare, nell’immagine a destra, jet sottili di gas che fuoriescono dalla fossa. Credits: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA.  

La cometa presenta inoltre delle particolari strutture superficiali grumose chiamate quasi in tono scherzoso ‘goosebumps’, ovvero ‘pelle d’oca’ in riferimento alla forma ad anatra della cometa. L’origine di queste strutture non è ancora nota con certezza ma comunque si pensa potrebbero essere importanti per comprendere i processi in atto durante la formazione della cometa. Un’ipotesi avanzata è quella in base alla quale queste strutture hanno avuto origine dall’aggregazione di gas e polvere che in un primo momento ha portato alla formazione di piccoli sassolini. Questi ultimi, con il passare del tempo, accrescendosi hanno raggiunto le dimensioni dei ‘goosebumps’ osservati.  

Primi piani di strutture denominate ‘goosebumps’ ottenute dalla narrow-angle camera di OSIRIS. Queste strutture, che coprono distanze superiori ai 100 m, non hanno ancora un’origine nota. Credits: ESA

Per quanto riguarda lo studio della superficie del nucleo cometario un primo risultato sorprendente è stato ottenuto dall’esperimento VIRTIS. Grazie allo spettrometro VIRTIS è stato possibile misurare l’albedo della cometa, ovvero la frazione di luce solare che viene riflessa dal nucleo cometario. Il nucleo della cometa 67P/C-G ha un’albedo pari al 6%, cioè pari alla meta di quella della Luna, ed è pertanto uno degli oggetti più scuri del nostro Sistema Solare. Questo dato cosa ci rivela? Il basso potere riflettente della superficie del nucleo della cometa indica che essa contiene minerali quali ad esempio solfuri di ferro ma anche composti di carbonio.

La bassa albedo è, inoltre, indice di una scarsa quantità di ghiaccio d’acqua sul guscio esterno della cometa, guscio dello spessore di un millimetro. Secondo il team di VIRTIS, questa minor quantità di ghiaccio d’acqua sulla superficie del nucleo cometario è strettamente connessa con la storia geologica della cometa. Poiché quest’ultima passa ripetutamente nella vicinanze del Sole (la cometa 67P/C-G è una cometa a corto periodo orbitale, attualmente il suo periodo orbitale è pari circa a 6,45 anni), con il trascorrere del tempo il ghiaccio superficiale è andato incontro a processi di sublimazione diminuendo di volta in volta.

Tuttavia la superficie della cometa non è completamente priva di ghiaccio ma sono state osservate piccole regioni più luminose. Generalmente queste regioni sono associate a superfici ricche di ghiaccio esposte in seguito al collasso di materiale più debole che ha lasciato scoperto lo strato sottostante. Ad esempio è stata osservata una crepa lunga 500m che si estende tra i due lobi della cometa.

Immagini della grande crepa lunga 500m che si estende tra i lobi e attraversa la regione Hapi e si estende oltre in Anuket. Le immagini sono state ottenuti dalla camera OSIRIS. Credits: ESA

Un altro risultato sorprendente ottenuto dall’esperimento VIRTIS è la scoperta di composti organici macromolecolari su tutta la superficie del nucleo cometario. Questi composti, rivelati grazie ad osservazioni nell’infrarosso, sono simili agli acidi carbossilici (o ai polimeri carbossilici) che compongono gli amminoacidi. Gli amminoacidi, che costituiscono i ‘mattoni della vita’ (essi infatti formano le proteine che compongono il nostro organismo), erano già stati osservati in meteore e meteoriti ma questa è la prima volta che vengono osservati direttamente su un nucleo cometario!

Analizzando la distribuzione di tali composti organici è stato inoltre possibile dedurre che essi erano presenti in quantità abbondanti nel materiale che forma il nucleo della cometa. Questi composti per avere origine necessitano di metanolo, metano o monossido di carbonio che congelano a temperature piuttosto basse. Ciò indica, come spiega Fabrizio Capaccioni (PI, Principal Investigator, dell’esperimento VIRTIS), che questi composti hanno probabilmente avuto origine a grandi distanze dal nostro Sole, durante le prime fasi di formazione del Sistema Solare. La cometa 67P/C-G contiene quindi al suo interno tracce di composti organici che risalgono al periodo di formazione del nostro Sistema Solare o forse ad ancora prima!  

In alto a sinistra, un’immagine del nucleo della cometa 67 P/C-G ottenuta dalla fotocamera di navigazione (NAVCAM) di Rosetta. Nell’altra immagine, una mappa della pendenza spettrale della superficie del nucleo cometario. La pendenza spettrale è un parametro che viene utilizzato per ottenere informazioni sul materiale che compone la superficie della cometa. Il blu indica una bassa pendenza spettrale e predomina nella regione del ‘collo’ della cometa. Tale regione ha al momento mostrato una maggiore attività cometaria e quindi una maggiore emissione di gas e polveri. Credit: ESA / Rosetta / NAVCAM (a sinistra); ESA / Rosetta / VIRTIS / INAF-IAPS / OBS DE PARIS-LESIA / DLR (a destra e in basso)

Gli strumenti di Rosetta osservano inoltre lo sviluppo dell’attività cometaria al diminuire della distanza della cometa 67P/C-G dal Sole. In particolare si intende studiare la variazione nella quantità e composizione del gas e della polvere emessa dal nucleo cometario all’avvicinarsi di quest’ultimo al Sole. Attualmente la sonda Rosetta si trova alla distanza di circa 367000000 km dal Sole e 51200000 km dalla Terra. E’ possibile seguire giorno per giorno la sonda Rosetta a questo link.

Nel corso di questi ultimi mesi le misurazioni effettuate grazie allo strumento MIRO hanno mostrato un aumento del tasso di produzione globale di vapore acqueo della cometa. Dai primi di Giugno alla fine di Agosto 2014 tale tasso è passato da 0,3 a 1,2 litri al secondo. MIRO ha anche scoperto che una porzione sostanziale d’acqua proviene dal collo della cometa. Inoltre l’acqua è accompagnata da altre specie di gas quali monossido di carbonio e biossido di carbonio. Guardando le comete attraverso i telescopi la chioma della cometa è sempre apparsa come una struttura abbastanza uniforme che non subisce variazioni nel giro di poche ore o giorni. Grazie allo strumento ROSINA è stato possibile notare, con grande sorpresa, che la cometa 67P/C-G presenta una chioma che non solo non è distribuita uniformemente nell’intorno del nucleo cometario, ma anche che subisce grandi fluttuazioni nella composizione in brevi intervalli di tempo. Lo spettrometro ROSINA ha rivelato un’alternanza tra picchi di emissione d’acqua e picchi di emissione di anidride carbonica in poche ore. Questa variazione può essere associata a effetti stagionali probabilmente connessi a variazioni nella temperatura appena sotto la superficie del nucleo cometario. I dati mostrano che complessivamente domina l’emissione d’acqua ma ci sono periodi in cui l’emissione di CO e CO2 predomina su quella di H2O. Ci hanno insegnato che le comete sono costituite prevalentemente da ghiaccio ma i dati provenienti dalla cometa 67P/C-G ci stupiscono ancora una volta: questa cometa sembra contenere grandi quantità di anidride carbonica.

Immagine che mostra la composizione eterogenea della chioma della cometa 67P/C-G. La regione rossa è dominata da CO e CO2 e corrisponde ad una zona della cometa che attualmente riceve poca luce dal Sole. Credit: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/ IDA.

Unendo le misurazioni ottenute grazie agli strumenti MIRO, ROSINA e GIADA, tra Luglio e Settembre 2014, gli scienziati del team di Rosetta hanno ricavato una prima stima del rapporto tra polvere e gas emessi dalla cometa ottenendo che quest’ultima sembra emettere una quantità di polvere 4 volte superiore a quella del gas. Tuttavia ci si aspetta che questo valore vari con il diminuire della distanza della cometa dal Sole. Quest’ultima scaldandosi ulteriormente potrebbe aumentare la quantità di ghiacci espulsi rispetto a quella della polvere.

GIADA ha inoltre studiato il movimento dei grani di polvere attorno alla cometa. Unendo i dati ottenuti da GIADA con le immagini di OSIRIS è stato possibile individuare due differenti popolazioni di polveri di grani: una uscente e diretta nella direzione dell’orbiter; l’altra orbitante attorno alla cometa alla distanza di 130 km da Rosetta. Si pensa che anche questa situazione cambierà con l’avvicinarsi della cometa alla nostra stella. La chioma di gas e polvere continuerà a crescere e aumenteranno le interazioni con le particelle cariche del vento solare e con la luce ultravioletta del Sole. Tali interazioni porteranno allo sviluppo di una ionosfera della cometa e alla fine di una magnetosfera secondo il meccanismo descritto di seguito. Gli strumenti RPC studiano l’evoluzione graduale di questi fattori nelle vicinanze della cometa. E’ stato già possibile fare importanti osservazioni. E’ stato osservato che l’atmosfera della cometa interagisce con il vento solare in questa prima fase più di quanto si era pensato. Man mano che la cometa si avvicinerà al Sole si avrà lo sviluppo di una magnetosfera ben consolidata in grado di creare quindi un ‘bow shock’, ovvero un’onda d’urto a forma di arco, che blocca il vento solare.    

L’immagine mostra il meccanismo di formazione della magnetosfera.  In  figura 1 viene mostrata la cometa in avvicinamento al Sole, questo avvicinamento provoca (come si può notare in figura 2) la sublimazione delle molecole d’acqua del nucleo cometario. Tali molecole interagiscono con la luce ultravioletta del Sole e vengono ionizzate (figura 3). Gli ioni appena formatisi vengono accelerati dal campo elettrico del vento solare e vengono rivelati dalla strumento RPC-ICA (figura 4). Il vento solare accelera gli ioni d’acqua in una direzione ma viene esso stesso deviato nella direzione opposta (figura 5). Questo effetto si accentuerà con l’avvicinarsi della cometa al Sole fino a portare alla formazione di una magnetosfera in grado di proteggere la cometa dall’interazione diretta con il Sole (figura 6). Credits: ESA/Rosetta/RPC-ICA.

Gli esperimenti a bordo di Rosetta hanno rivelato che la cometa 67P/C-G presenta diverse caratteristiche superficiali e molti processi che contribuiscono alla sua attività. Sono già stati raggiunti importanti risultati nello studio di questa cometa ma c’è ancora molto altro da scoprire. Sappiamo ad esempio che la cometa è composta da due lobi, lobi che stando alle prime misurazioni sembrano essere molto simili per composizione. Ciò favorisce l’ipotesi secondo cui la cometa ha avuto origine dall’erosione di un corpo più grande. Tuttavia non si può ancora escludere la seconda ipotesi, ovvero quella secondo la quale la cometa si è formata dalla fusione di due comete che hanno avuto origine nella stessa zona del Sistema Solare. Solo il tempo e i nuovi dati che saranno ottenuti dagli strumenti a bordo di Rosetta potranno svelarci il mistero e aiutarci a comprendere molto altro ancora su questi straordinari oggetti del Sistema Solare.  

Riepilogo delle proprietà della cometa 67P/C-G ottenute grazie agli esperimenti dell’orbiter Rosetta. Immagine rilasciata dall’ESA il 22 Gennaio 2015. I dati mostrati in figura sono descritti in dettaglio negli articoli pubblicati sulla rivista Science 23 January 2015, vol 347, issue 6220 .


        

ISON – La (potenziale) cometa di Natale – Anna Galiano

Il Natale, la festività più amata della tradizione cristiana, narra che il Messia sia nato in una mangiatoia e che una cometa abbia mostrato ai Re Magi la via da seguire per raggiungerlo. Ma nell’anno 0 una cometa ha davvero attraversato i cieli di Betlemme? Innanzitutto, molti studiosi suppongono che Gesù sia nato negli ultimi anni del regno di Erode, pertanto la data della sua nascita deve essere collocata tra il 6 e il 4 a.C. ma in quegli anni sembra che non sia stato registrato alcun passaggio di comete. E allora la storia di questo oggetto astronomico denominato “Stella di Betlemme” da dove salta fuori? giotto scrovegniSi deve attribuire il merito di questa tradizione ad un famoso pittore italiano. Nel 1301 Giotto rimase così affascinato dal passaggio di una splendida cometa, oggi nota come la cometa di Halley, che decise di raffigurarla in uno dei suoi dipinti, “Adorazione dei Magi” sulle pareti della Cappella degli Scrovegni a Padova. Questo affresco riproduce la nascita di Cristo avvenuta in una mangiatoia con i Re Magi al suo cospetto e, per la prima volta, una cometa nel cielo. Figura 1: Dipinto di Giotto “Adorazione dei Magi” nella Cappella degli Scrovegni (Padova). Quest’anno però, il 26 Dicembre, se diversi fattori lo consentono, gli abitanti dell’emisfero boreale potranno assistere al passaggio ravvicinato e spettacolare della cometa ISON. L’origine greca del nome κομήτης (kométes), “cometa” fa riferimento all’aspetto tipico di questo oggetto astronomico, che appare nel cielo come se fosse una lunga chioma di capelli. Un tempo la comparsa di una cometa era sinonimo di cattivo presagio, a tal punto che gli astronomi di corte rischiavano la vita se, malauguratamente non riuscivano a predire il passaggio di questi astri chiomati. Le comete però, popolarmente identificate anche come “palle di neve sporche” sono sostanzialmente un aggregato di frammenti rocciosi, silicati e composti ferrosi, amalgamati da ghiaccio d’acqua, ghiaccio secco, metano, ammoniaca ed altri gas congelati che descrivono attorno al Sole orbite ellittiche di elevata eccentricità. Si ritiene che questi oggetti di massa ridotta (non superiore a 1019 g) risiedano sia nella “Cintura di Kuiper”, regione del Sistema Solare esterno che si estende oltre l’orbita di Nettuno (tra 30 e 55 UA dal Sole) sia in una regione sferica che circonda l’intero Sistema Solare nota come “Nube di Oort”. Alcune teorie sostengono che le comete siano resti rocciosi della formazione del Sistema Solare, avvenuta 4.6 miliardi di anni fa. Questi frammenti molto probabilmente si sono formati nelle vicinanze del Sole, ma a causa di perturbazioni gravitazionali esercitate dai pianeti giganti sono stati spinti nella Nube di Oort che attualmente si presume ne contenga circa 2 trilioni. La Nube di Oort ha un raggio stimato di 50000 UA e spazia dalla regione esterna della Cintura di Kuiper fino ad un quarto della distanza che separa il Sistema Solare dalla stella più vicina, Proxima Centauri (distante circa 4 a.l.). Al seguito di perturbazioni dovute a stelle vicine o di interazioni con il disco galattico della Via Lattea, questi oggetti ghiacciati possono allontanarsi dalla Nube di Oort e raggiungere il Sistema Solare interno, in direzione del Sole. Si parla, così, di comete a lungo periodo (il tempo che impiegano per percorrere l’intera orbita è compreso tra 200 anni e 1 milione di anni ed oltre) e sono caratterizzate da orbite eccentriche, paraboliche o iperboliche. Solitamente il passaggio di queste comete viene osservato una sola volta poiché a causa della forte eccentricità della loro orbita escono dal Sistema Solare senza fare ritorno.  

Le comete a breve periodo (con un periodo orbitale minore di 200 anni) sono caratterizzate da orbite complanari a quelle dei pianeti. La cometa che ha il periodo più breve è la cometa Encke, pari a 3.30 anni e di questa sono stati registrati il maggior numero di passaggi. La sede di simili comete sembra essere la Fascia di Kuiper. Le orbite delle comete a breve periodo sono confinate nel Sistema Solare e presentano il punto di massima distanza dal Sole (afelio) coincidente con il raggio orbitale di alcuni pianeti del Sistema Solare esterno (Giove, Saturno, Urano, Nettuno). Queste particolari comete vengono identificate come la “famiglia” del pianeta in questione. Alcune comete a lungo periodo possono risentire dell’attrazione gravitazionale di un pianeta (soprattutto di Giove con una massa pari a 318 masse solari) che modifica l’eccentricità della loro orbita, facendole divenire delle comete a breve periodo. Di una cometa si possono distinguere chiaramente tre componenti: nucleo, chioma, coda. Il nucleo, con dimensioni che variano da qualche centinaio di metri fino a 40-50 Km ed oltre, ha una forma irregolare, è poroso, limitatamente denso ed ha un basso potere riflettente (infatti l’albedo che per un oggetto totalmente riflettente corrisponde a 1, in questo caso è prossimo allo 0, tipico di materiali che assorbono gran parte della radiazione come il carbone). Il nucleo è un agglomerato di roccia e polveri e per l’80% è costituito da ghiacci volatili come: ghiaccio d’acqua (presente in maggior quantità), ghiaccio secco, ossia anidride carbonica (CO2), ammoniaca (NH3), metano (CH4), monossido di carbonio (CO). Il ghiaccio d’acqua è strutturato in modo tale che gli atomi di idrogeno di 6 molecole d’acqua siano legati tra loro, tramite appunto il “legame idrogeno”. La struttura cristallina che ne deriva presenta una cavità all’interno dove possono risiedere molecole di monossido di carbonio, anidride carbonica, ammoniaca e metano. Per questo motivo tali strutture vengono chiamate clatrati, dal latino “claustrum”, ossia “gabbia”. Per la maggior parte del tempo le comete sono degli oggetti inattivi, ossia semplici frammenti di roccia e ghiaccio che viaggiano nel Sistema Solare seguendo la propria orbita, ma giunti in prossimità del Sole (a distanza di circa 3 o 5 UA) gli elementi ghiacciati che caratterizzano il nucleo cometario iniziano a riscaldarsi e a sublimare, generando una chioma. Questa, che può avere dimensioni da 30000 a 100000 Km, ha inizialmente una forma semi-sferica e diviene molto luminosa quando le particelle gassose di cui è composta interagiscono con la radiazione ultravioletta solare, giungendo all’eccitazione. Quando la cometa giunge al perielio la pressione di radiazione del Sole è così intensa che interagendo con i detriti ne modifica la traiettoria: in questo modo la struttura semi-sferica della chioma diviene una struttura “a goccia”. Se una cometa dovesse presentare una predominanza di ghiaccio di monossido di carbonio (CO) e non ghiaccio d’acqua la chioma inizia a formarsi già ad una distanza di 10 UA, poiché il CO sublima a temperature inferiori rispetto a quelle del ghiaccio d’acqua. Da misure spettroscopiche è emerso che la chioma presenta righe di emissione corrispondenti a diversi metalli, come Potassio (K), Sodio (Na), Calcio (Ca), Rame (Cu), Ferro (Fe). Sono state inoltre osservate, nella chioma, sostanze inconsuete la cui presenza è stata spiegata come la dissociazione di molecole più complesse, dette “molecole madri”, ad opera dell’interazione di queste con la radiazione solare. Infatti all’interno di una chioma possiamo distinguere: ·        

  • Chioma interna: composta da “molecole madri” appena rilasciate dal nucleo cometario, al seguito della sublimazione degli elementi volatili;

  • Chioma intermedia: costituita da nuove molecole, ottenute dalla dissociazione delle molecole madri, indicate come “molecole figlie”;

  • Chioma esterna (o chioma di Idrogeno): enorme nube di idrogeno neutro che può estendersi per milioni di Km di diametro.

Inoltre, la pressione di radiazione ed il vento solare provenienti dalla nostra stella spingono particelle di gas e polveri nella direzione opposta al Sole e pertanto la cometa sviluppa una coda. In realtà una cometa solitamente è composta da due code:

  • Coda di polveri (o di Tipo I): in media si estende per circa 10 milioni di Km ed è caratterizzata da una variazione di colore che gradualmente dal bianco luminoso del nucleo giunge ad un grigio-verdastro delle regioni più esterne. E’ la componente cometaria che maggiormente cattura l’attenzione del nostro occhio e dagli spettri è emerso che le polveri e i detriti rocciosi che compongono questa coda riflettono la luce solare, conferendole l’elevata luminosità che la caratterizza. Quindi lo spettro della coda di Tipo I è uno spettro a riflessione. La coda di polveri ha una forma ricurva, cosiddetta a “scimitarra” a causa sia della pressione di radiazione solare che devia i grani di polvere di dimensioni minori sia perché le particelle di polveri risentono dell’attrazione gravitazionale esercitata dal Sole.

  • Coda di ioni (o di Tipo II): è composta da particelle cariche e disposta radialmente al Sole. Si estende per circa 100-300 milioni di Km ed ha una colorazione che varia dal blu elettrico in prossimità del nucleo, al celeste tenue nelle zone periferiche. La coda di ioni genera uno spettro di emissione poiché le particelle che la costituiscono tendono ad assorbire la radiazione solare (soprattutto la componente ultravioletta) e a riemetterla sotto forma di radiazione visibile (secondo il processo di fluorescenza). Gli ioni evidenziati negli spettri di emissione sono principalmente ione monossido di carbonio (CO+), ione cianuro (CN+), ione ossidrile (OH-), ione idronio (H3O+).

Lo sviluppo della doppia coda di una cometa, quella di particelle (in bianco) e quella di ioni (in blu) durante il passaggio vicino al Sole.

Fino al 1997 si riteneva che una cometa in avvicinamento al Sole potesse sviluppare solo le due code appena descritte ma l’astronomo italiano G. Cremonese, analizzando attentamente le immagini di una famosa cometa giunta al perielio quello stesso anno, Hale-Bopp, scoprì che in realtà si poteva generare una terza coda, composta principalmente da atomi di sodio neutro. Infine, nel 2006, tramite il satellite finalizzato alle sole osservazioni solari STEREO (Solar TErrestrial RElations Observatory) si apprese che alcune comete possono sviluppare un’altra coda, costituita da atomi di ferro neutro. La prima si estende per circa 40-50 milioni di Km, ha un colore giallo paglierino e presenta una forma leggermente arcuata poiché, trovandosi tra la coda di polveri e quella di ioni è influenzata in maniera limitata dalla pressione di radiazione. La coda composta da atomi di ferro neutro ha infine una forma ancor più debolmente ricurva. Le comete non devono necessariamente sviluppare le quattro code simultaneamente, dato che queste sono legate alla grandezza del corpo roccioso e ghiacciato e alla sua composizione. Però, in base al tipo di code che si generano si può stimare l’età di una cometa. Una cometa periodica quando giunge al perielio e interagisce con la radiazione solare perde parecchie tonnellate di materiale di cui è composta ad ogni singolo passaggio. Pertanto una cometa che presenta solo una coda di ioni (come è stato osservato per la cometa Hyakutake nel 1996) deve avere necessariamente un’età avanzata poiché i detriti rocciosi e le polveri si esauriscono, in genere, prima degli ioni.

La cometa periodica maggiormente nota è proprio quella avvistata anche da Giotto, che si muove di moto retrogrado nel Sistema Solare interno con un periodo di circa 76 anni. Nell’anno 1986 la cometa è giunta nel punto di minima distanza dal Sole (perielio) il 9 Febbraio ed il 14 Marzo la sonda europea Giotto si è avvicinata fino a circa 600 km di distanza dal nucleo, rivelando la forma di un ellissoide triassiale. Un’altra scoperta ad opera della sonda Giotto è stata quella di notare due getti di polveri e gas, provenienti da regioni limitate del nucleo cometario, in direzione del Sole: ciò ha fatto pensare che i materiali volatili dalla quale si genera la chioma e quindi le diverse code siano confinati all’interno del nucleo da una crosta solida. La vita delle comete non è illimitata: le comete periodiche passano più volte vicino al Sole e vengono gradualmente consumate finché non di disintegrano totalmente. Alcune comete a lungo periodo, invece, hanno un’orbita molto vicina al Sole (comete radenti o sun-grazing) e possono venir disintegrate già al primo tentativo di passaggio al perielio. Dopo questa breve digressione sulla natura degli affascinanti astri chiomati andiamo a conoscere la protagonista indiscussa di questo fine anno 2013, la potenziale cometa del secolo C/2012 S1, meglio nota come ISON. La scoperta è avvenuta il 21 Settembre 2013 da parte di due astronomi, il bielorusso Nevski e il russo Novichonok utilizzando un telescopio riflettore con un diametro d’apertura di 40 cm dell’International Scientific Optical Network in Russia (da cui proviene il nome ISON della cometa) e il programma automatizzato CoLiTech, utile per scoprire asteroidi. La denominazione C/2012 S1 è associata alla natura non periodica della cometa tramite la lettera “C”, 2012 è l’anno della scoperta ed S1 è legato al fatto che è stata la prima cometa a venir individuata nel Settembre di quell’anno. Calcolando i parametri orbitali di ISON si è compresa la sua orbita fortemente iperbolica, sostenendo l’ipotesi che questa cometa provenga dalla Nube di Oort. A causa della sua orbita e della natura non periodica, questa cometa potrà essere avvistata solo per una volta. Le osservazioni provenienti dall’Hubble Space Telescope (HST) e dallo Spitzer Space Telescope risalenti ai primi mesi del 2013, hanno evidenziato un nucleo cometario con un diametro compreso tra 0.4 e 1.2 Km e una chioma di 5000 km.  

La cometa ISON ripresa dall’HST qualche mese fa.  
Crediti: NASA, ESA, J.-Y. Li (Planetary Science Institute), e Hubble Comet ISON Imaging Science Team

Tutte le comete sono dirette verso il Sole e la ISON non fa eccezione: la data in cui la cometa si troverà alla minima distanza dalla nostra stella è il 28 Novembre. ISON transiterà dunque a circa 2 milioni di Km dal centro del Sole e considerando che il raggio solare è di 695000 Km, la cometa passerà a 1.16 milioni di Km dalla fotosfera della nostra stella. Tale distanza è molto ridotta, infatti ISON è una cometa radente e se il Sole dovesse presentare una forte attività la cometa potrebbe non sopravvivere a questo passaggio ravvicinato. E’ rimasta memorabile la cometa Lovejoy, che il 16 dicembre 2011 si è letteralmente gettata nella corona solare e, a dispetto di tutte le previsioni che la ritenevano ormai disintegrata, alcuni telescopi orbitanti l’hanno vista riemergere dall’atmosfera solare seppur privata di buona parte della sua coda originaria. Se anche ISON dovesse sopravvivere alla minaccia solare del 28 Novembre, potrebbe generare nei mesi successivi un brillante spettacolo nei cieli dell’emisfero boreale e potremmo pertanto osservare una cometa luminosa ad occhio nudo, evento che ebbe come protagonista la cometa Hale-Bopp e pertanto non si ripete dal 1997. Quest’ultima è rimasta visibile nel cielo per ben 18 mesi, raggiungendo una magnitudine pari a 0, fattori che hanno portato a battezzarla come la “Grande Cometa” del 1997.

This image of comet Hale-Bopp was obtained by Gerald Rhemann on 1997 March 27.78. He was using a 190/255/435mm Schmidt camera and Kodak Gold 400. The exposure time was 8 minutes.

Alcune previsioni sostengono che la cometa ISON potrebbe superare lo spettacolo della Hale-Bopp. Il 26 Dicembre la cometa percorrerà quel tratto di orbita che è maggiormente vicino alla Terra, distante solo 64 milioni di Km, ossia 200 volte la distanza Terra-Luna. Tra il 14 e il 15 Gennaio, invece, la Terra attraverserà una regione molto vicina all’orbita della cometa e alcune particelle emesse dalla ISON durante il suo passaggio potrebbero impattare l’atmosfera terrestre generando uno sciame meteoritico, quindi stelle cadenti. Tuttavia la portata dell’evento sarà probabilmente modesta poiché uno sciame di particelle si manifesta soltanto quando la Terra attraversa delle zone nella quale è avvenuto il passaggio della coda della cometa. Le famose “Lacrime di San Lorenzo” non sono altro che il risultato dell’attraversamento dell’atmosfera di polveri provenienti dalla coda della cometa Swift-Tuttle che sono disposte in quel tratto dell’orbita terrestre che il nostro pianeta percorre da metà Luglio fino ad Agosto. Pertanto le “Lacrime di San Lorenzo” non sono visibili solo il 10 Luglio, ma lo spettacolo si prolunga per più di un mese.

Il 1 Ottobre 2013 la cometa ha sfiorato Marte, con una distanza tra i due corpi di soli 6.5 milioni di Km. Come si sa il pianeta rosso è sottoposto ad una incessante indagine con lo scopo di rilevare sul suolo tracce d’acqua e pertanto mentre sul terreno marziano vi sono i rover Curiosity ed Opportunity, in orbita si trova la sonda MRO (Mars Reconossaince Orbiter). Quest’ultima ha lo scopo principale di fornire immagini dettagliate del suolo di Marte utilizzando la camera HIRISE e il 29 Settembre 2013 questa è stata puntata verso la cometa.  La ripresa della cometa che ne è emersa non è altamente dettagliata poiché HIRISE è stata studiata principalmente per fotografare il suolo marziano (la cometa appare come un punto sfocato al centro delle immagini e in movimento rispetto alle altre stelle) ma l’immagine risultante ha frenato comunque gli entusiasmi poiché la luminosità di ISON è molto minore rispetto a quella prevista. Dal 29 Settembre, pertanto, tutti gli appassionati di comete sono rimasti delusi da questo risultato temendo che la “cometa di Natale” non fosse così spettacolare come ci si aspettava. Le comete sono degli oggetti capricciosi e tutt’altro che prevedibili. Infatti fino all’11 Novembre la cometa ISON aveva lentamente raggiunto una magnitudine pari a 8 e pertanto era visibile solo con l’utilizzo di telescopi o con binocoli in cieli completamente bui, ma improvvisamente sembra si sia “svegliata”. Il 13 Novembre è stato registrato un forte aumento di luminosità, raggiungendo la quarta magnitudine e in più ha iniziato a sviluppare la coda di ioni. Ora la ISON è visibilissima ad occhio nudo (nella costellazione della Vergine poco prima dell’alba) nei cieli totalmente privi di inquinamento luminoso e la si può facilmente avvistare con il telescopio nelle aree urbane. Al repentino cambiamento della magnitudine non è stata ancora attribuita una spiegazione definitiva. Può essere dovuto ad un aumento dell’emissione degli elementi volatili della cometa poiché man mano che essa si avvicina al perielio è sottoposta ad una maggiore radiazione solare. Oppure la ISON potrebbe essersi frammentata. La certezza purtroppo manca. Pertanto rimane il dubbio se considerare questo improvviso aumento di luminosità come un fattore positivo o negativo: l’unico modo per saperlo è aspettare ed osservare ogni singola azione che la cometa ISON compierà. Una prima risposta potrebbe arrivare dalle riprese del telescopio spaziale SOHO (Solar and Heliospheric Observatory) dell’ESA e della NASA che potrà monitorare costantemente la cometa appena entrerà nel campo di vista dei suoi strumenti. La cometa intanto ha sviluppato una lunga coda di oltre 16 milioni di Km.

La cometa ISON fotografata dall’astrofotografo Michael Jäger la notte del 10 Novembre 2013 nella quale si nota chiaramente la coda di polveri e la coda di ioni.  

Di seguito è riportata la curva di luce della cometa ISON relativa al 15 Novembre. Questo grafico comprende due diverse misurazioni. I cerchietti rossi rappresentano le magnitudini (misurate dal Minor Planet Center) associate a regioni limitate vicino la cometa. In questo modo si registra una più debole luminosità rispetto a quella che si otterrebbe se si misurasse la magnitudine dell’intera chioma. I triangoli blu, invece sono i risultati forniti dall’International Comet Quarterly (ICQ), che fanno riferimento alla magnitudine totale della cometa, cercando di stimare tutta la luminosità prodotta dalla ISON. Mentre le prime misurazioni possono variare da osservatore ad osservatore in base alle tecniche e strumentazioni utilizzate, queste ultime sono state ottenute da astronomi esperti che hanno fatto uso di telescopi oppure hanno confrontato ad occhio nudo la luminosità della ISON con quella delle stelle note. La curva nera è semplicemente un possibile modello che la luminosità della cometa potrebbe seguire. Si nota, però come le misure provenienti dall’ICQ seguono maggiormente il modello di curva tracciato, sebbene nella prima metà del 2013 entrambe le misurazioni sembravano essere in accordo. Questo è dovuto al fatto che nei primi mesi del 2013 la ISON era ancora distante da noi e presentava una dimensione angolare ridotta quindi anche le misure di magnitudine del Minor Planet Center coinvolgevano tutto l’astro chiomato e non regioni limitate. Ma attualmente la ISON è sempre più vicina al Sole e di conseguenza a noi, presentando dunque una dimensione maggiore e le due diverse misurazioni non sono più coincidenti. Attualmente la luminosità della ISON è meglio descritta dalle magnitudini totali (rappresentate dai triangoli blu). Dal grafico si evince inoltre, come i valori di magnitudine della ISON siano diminuiti rapidamente nell’arco di pochi giorni, rendendo quindi la cometa maggiormente luminosa. Sarà difficile valutare la luminosità raggiunta dalla cometa quando sarà in prossimità del Sole poiché verrà sovrastata dalla forte luce diurna.

Queste misure non predicono comunque quello che avverrà il 28 Novembre, pertanto non ci resta che attendere quel fatidico giorno ed osservare in diretta ciò che la ISON potrà subire. Verrà disintegrata dal forte campo gravitazionale del Sole o riuscirà ad evitare questo evento distruttivo, permettendoci così di ammirarla, da Dicembre (e per un paio di mesi successivi) in una lunga scia luminosa che solca i nostri cieli notturni? Come terza ipotesi potrebbe anche accadere che interagendo con il Sole, la cometa potrebbe perdere la propria coda ma riuscire ad allontanarsi conservando il nucleo e quindi la chioma. In questo modo, sempre dopo il 28 Novembre, potremmo avvistarla con una luminosità ridotta, subito dopo il tramonto. Da un punto di vista scientifico paradossalmente può essere molto più interessante osservare la distruzione di una cometa piuttosto che il suo affascinante passaggio poiché si potrebbe analizzare in maniera diretta la composizione chimica di regioni interne del nucleo di questo oggetto. Ricordiamo che le comete sono dei frammenti rocciosi e ghiacciati originatisi all’epoca della formazione del Sistema Solare e tramite la loro disintegrazione si potrebbero ottenere dettagliate informazioni sulle condizioni esistenti 4.6 miliardi di anni fa. La ISON tra l’altro, si avvicina al Sole per la prima volta e quindi non è stata alterata chimicamente da precedenti interazioni con la nostra stella. E’ pertanto un reperto di 4.6 miliardi di anni rimasto fortemente intatto da allora. In più si ritiene che le comete siano potenziali “portatrici di vita”: nel 2004 la sonda Stardust ha raggiunto la cometa Wild 2 raccogliendo le polveri provenienti dalla sua coda ed una volta analizzate si è scoperto che contenevano le molecole organiche ammine, precursori del DNA. Infatti il nucleo cometario non è soltanto composto da frammenti rocciosi ed elementi ghiacciati, ma vi sono anche sostanze chimiche organiche, come:

  • formaldeide (H2CO): questo composto è ottenibile tramite ossidazione catalitica del metanolo ed è utilizzato nella vita quotidiana come disinfettante;

  • acido cianidrico (HCN): può presentarsi sottoforma di liquido incolore oppure come gas ed è un veleno molto potente. Questo è essenziale nei processi di sintesi prebiotica (precedenti la comparsa di organismi viventi sulla Terra) di amminoacidi e purine, ossia basi azotate che costituiscono DNA ed RNA.

Si pensa che queste molecole organiche si siano formate nello spazio interstellare e siano state intrappolate nel nucleo cometario nei primi periodi della formazione del Sistema Solare. Nel 2013 è stata avanzata l’ipotesi che gli impatti di comete sulle rocce terrestri avvenuti miliardi di anni fa abbiano generato gli amminoacidi, dalla quale si sono formate le proteine. Quindi la vita sulla Terra potrebbe essere stata “portata” da quelle comete che hanno impattato sul nostro pianeta. Di certo queste risposte non si ottengono limitandosi ad osservare il passaggio della cometa ISON nel Sistema Solare. Però, d’altro canto, chi vuole perdersi lo spettacolo di un’enorme scia luminosa che si estende per gran parte del cielo notturno boreale? Questa è la previsione più fantastica riguardante la ISON che potrebbe rivelarsi ben più deludente anche se  la cometa riuscisse a transitare vicino al Sole senza venir disintegrata. Però, come già detto, le comete sono molto imprevedibili, quindi chi può dire cos’ha in serbo per noi la ISON?                            

What about ISON? – Anna Galiano

ISON, la (potenziale) cometa di Natale, la tanto acclamata cometa del secolo… “what about it”? Che fine ha fatto? Nel precedente articolo relativo a questo interessante astro chiomato, avevamo lasciato la cometa ISON in procinto di avvicinarsi al Sole, con la speranza da parte di molti, che riuscisse a sfuggire all’abbraccio potenzialmente mortale della nostra stella o quanto meno sopravvivere senza essere distrutta del tutto. In tal modo l’avremmo vista brillare nei nostri cieli nel periodo natalizio. Ma il passaggio ravvicinato della ISON al Sole, avvenuto il 28 Novembre scorso, non è stato così tranquillo come si sperava. Abbiamo conosciuto il carattere imprevedibile di questo corpo ghiacciato già nei mesi precedenti il perielio. A causa probabilmente di qualche perturbazione gravitazionale la cometa, circa 3 milioni di anni prima dell’anno 0, si è allontanata dalla nube di Oort nella quale risiedeva e ha intrapreso il proprio viaggio attirata dalla forza gravitazionale del Sole. Giunta nel Sistema Solare interno, fino all’11 Novembre 2013 la luminosità della cometa si era mantenuta al di sotto delle attese, raggiungendo l’ottava magnitudine per poi aumentare improvvisamente ed inspiegabilmente fino ad un valore di magnitudine pari a +4. Nelle ore che hanno preceduto il passaggio al perielio la ISON ha iniziato a ridurre la propria luminosità e giunta nel campo di vista del coronografo LASCO C2 a bordo della sonda SOHO (che monitora costantemente il Sole) si è notato che il nucleo cometario non era più ben distinguibile e pertanto la cometa poteva aver subito, se non del tutto, una parziale frammentazione. La coda, invece era rimasta abbastanza densa ed estesa, molto più delle code di altre comete radenti osservate in precedenza. Ma a causa della frammentazione del nucleo nelle ore precedenti il passaggio al perielio, le speranze di veder solcare i nostri cieli dalla ISON si sono spente ancor prima che la cometa raggiungesse il punto di minima distanza dal Sole. A tal proposito, la stessa Agenzia Spaziale Europea (ossia l’ESA, acronimo di European Space Agency) aveva ritenuto che la cometa fosse “morta”, che non ci fosse più alcuna speranza di vederla riemergere dall’atmosfera solare. L’ESA aveva così dichiarato la tragedia: “Comet ISON is gone”.  

Credit: ESA&NASA/SOHO/SDO – La cometa ISON ripresa dal coronografo LASCO C2.  

Il momento relativo al perielio non è stato registrato da alcuno strumento e pertanto non si sono potuti notare gli ulteriori effetti distruttivi che il vento solare, il suo calore e la sua pressione di radiazione hanno provocato alla cometa nel punto di maggior avvicinamento al Sole. Ma con grande sorpresa, dopo aver superato il momento critico, alcuni resti della ISON sono riemersi dalla zona di occultamento del coronografo LASCO C2. La ISON ci ha abituati, nei mesi precedenti, ai suoi “colpi di testa” e pur avendo inizialmente un nucleo di soli 1.2 Km, non è stata totalmente vinta dalla forza gravitazionale della nostra stella, molto più massiccia di questa piccola cometa. Quando la ISON ha attraversato la corona solare, parte della sua chioma polverosa e gassosa è stata bruciata da questa regione più esterna dell’atmosfera solare, nella quale si raggiungono temperature cinetiche di milioni di gradi. Alcune componenti della chioma sono sopravvissute e nelle 24 ore successive la coda ha assunto la forma di un ventaglio debolmente luminoso. Inoltre, nonostante la ISON avesse raggiunto una temperatura di 2700 °C in quel punto critico, qualcos’altro sembrava essere riuscito ad emergere dall’atmosfera solare. La stessa ESA, una volta analizzate le immagini che mostravano la “sopravvivenza” della ISON, la mattina del 29 Novembre, ha dovuto correggere quanto dichiarato la sera precedente, sostenendo che effettivamente la cometa non era stata distrutta completamente in questa prima fase. La ISON è stata perciò battezzata come “la cometa di Schrödinger” dall’astrofisico del Naval Research Laboratory, Karl Battams, in analogia al famoso gatto quantistico. Il paradosso del “gatto di Schrödinger” descrive un sistema costituito da un felino chiuso in una scatola d’acciaio, con della sostanza radioattiva e un’ampolla di vetro contenente del veleno. Se gli atomi della sostanza radioattiva si disintegrano, innescano un martelletto con cui si rompe l’ampolla facendo fuoriuscire il veleno. Se invece gli atomi non si disintegrano, il gatto è salvo. Poiché non si può osservare ciò che succede nella scatola per un dato periodo di tempo, il gatto in quell’intervallo stabilito è contemporaneamente vivo che morto in termini di stati probabilistici possibili. La ISON si è comportata in un modo analogo per qualche ora.   Questo evento inaspettato, però non ha permesso di riaccendere le speranze poiché da una prima analisi i residui della ISON erano costituiti soprattutto da polveri e cumuli di macerie che avrebbero potuto comunque disintegrarsi completamente nei giorni successivi. Il 30 Novembre si è registrato un calo di luminosità della cometa raggiungendo una magnitudine  di +7.5, ben al di fuori del limite di magnitudine alla quale è sensibile il nostro occhio (l’occhio umano è in grado di vedere oggetti con un valore massimo di magnitudine attorno a 6), senza possibilità pertanto di osservare quel che rimane della ISON ad occhio nudo. Gian Paolo Tozzi, astrofisico dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), ha spiegato che ciò che  è sopravvissuto della ISON sono solo dei grani più massicci di polveri che non sono stati vaporizzati dalla radiazione solare e che pertanto continuano a viaggiare seguendo la loro traiettoria.

Nei giorni successivi la ISON è stata ripresa da altri strumenti che osservano e analizzano l’attività solare, come il LASCO C3, sempre a bordo della sonda SOHO di appartenenza della NASA/ESA e successivamente dall’Heliospheric Imager 1 (HI-1), quest’ultimo a bordo del satellite della NASA, STEREO-A. La cometa sembra aumentare la propria luminosità in quest’ultimo strumento, suscitando non poca sorpresa. Ma in realtà ciò è dovuto ad una migliore sensibilità dei rivelatori di HI-1 rispetto a LASCO C3. Infatti mentre LASCO C3 ha una magnitudine limite alla quale è sensibile pari a +8.5, HI-1 raggiunge magnitudine limite di +11.5. La ISON è rimasta nel campo di vista di HI-1 fino al 7 Dicembre ma già l’immagine del 3 Dicembre la mostra come una diffusa nube polverosa, priva di un’evidente condensazione centrale. L’ipotesi più accreditata implica la totale disintegrazione del nucleo e che pertanto della cometa ISON sia rimasto solo un mucchio di polvere. Come alternativa, la ISON può attualmente essere costituita da piccoli frammenti rocciosi, ciascuno dei quali sottoposto ad una sublimazione dei materiali ghiacciati che lo compongono. Tale sublimazione, se sta avvenendo, è al di sotto dei limiti di magnitudine della quale sono dotati SOHO e STEREO, e per questo non visibile da tali strumenti.  Una domanda posta da molti è: se il nucleo cometario esiste ancora, quanto potrà essere grande? Per risolvere questo ulteriore dubbio e quindi avere informazioni sull’eventuale presenza di un nucleo, sulle sue dimensioni e su una possibile attività cometaria, bisogna aspettare i risultati di un tentativo di ripresa del Telescopio Spaziale Hubble (HST). Di certo, dovremo aspettarci un nucleo ben più piccolo di quanto non fosse già inizialmente anche perché attualmente non si nota più alcun indizio evidente di resti cometari.  

ISON non si è dimostrata all’altezza delle aspettative, non ha soddisfatto le aspettative di “cometa di Natale”, né tantomeno quella di “cometa del secolo” ma di certo non ha lasciato il Sistema Solare in silenzio. Quei pochi frammenti rocciosi e le ceneri rimaste, continuano a forniscono un importante oggetto di indagine ai planetologi che dallo studio della frantumazione del nucleo cometario originario possono dedurre importanti informazioni sulla composizione chimica della cometa, sulla sua struttura interna e sui processi che avvengono in quei corpi ghiacciati provenienti da una regione fredda e remota del Sistema Solare, distante più di 55 UA dal Sole, che è la Nube di Oort. Forse fino alla fine potrà riservarci qualche altra sorpresa. Intanto ricordiamola com’era prima del catastrofico passaggio al perielio, con il suo nucleo di 1.2 Km e con una luminosa coda che attraversava la costellazione della Vergine nei primi giorni di Novembre. Anche se l’avventura della ISON non è stata eclatante come ci aspettavamo, è stata comunque ricca di colpi di scena e ci ha fatto sognare per qualche mese. La cometa ISON ha raggiunto il perielio il 28 Novembre 2013 per la prima volta e qualunque residuo esista ancora non avrà più modo di ripetere tale evento a causa dell’orbita iperbolica di cui è caratterizzata. Alla luce di tutte le evidenze acquisite finora si può solo dire “Addio COMETA ISON”.