Tsunami sul Ciolo – Domenico Licchelli

Ci sono luoghi che hanno la staordinaria capacità di raccontare storie fantastiche non appena li si guarda sotto la giusta luce e con gli strumenti mentali adatti. Luoghi in cui la bellezza regna sovrana nonostante l’incessante lavorio del tempo. Nel Salento c’è l’imbarazzo della scelta ma per me, non foss’altro che per ragioni biografiche, in cima a tutti c’è il tratto di costa da Novaglie a Leuca. Durante una delle innumerevoli scorribande tardo-adolescenziali su quelle rocce, spesso a strapiombo sul mare, mi imbattei in un posto stranissimo. Rocce bianchissime e levigate, che peraltro avevo già notato in un altro luogo, enormi massi accatastati in maniera caotica ma allo stesso tempo con un ordine sottostante, evidenti anomalie rispetto al quadro geologico circostante. Le mie conoscenze allora erano sostanzialmente scolastiche per cui non ero in grado di formulare nessuna ipotesi attendibile. Da fotografo mi colpì subito la qualità della luce in certi momenti della giornata ma anche la grande difficoltà nel gestirla con le mitiche diapositive Ektachrome che utilizzavo in quel periodo. Era un paradosso incredibile. Finì col considerarlo un piccolo tesoro e come tale da mostrare solo in casi eccezionali.P2020326t

Nessun indizio all’epoca mi faceva supporre che una decina di anni dopo lo studio di quelle rocce carbonatiche, delle retrostanti lagune e dei relativi fossili sarebbe diventata una parte importante della mia ricerca scientifica in ambito planetologico. Centinaia e centinaia di ore trascorse setacciando le rocce palmo a palmo alla ricerca degli indizi più interessanti, accompagnato solo dal sibilo del vento e dal frangersi delle onde su quelle pareti vecchie di milioni di anni.

articolo spettroscopia carbonati marte

articolo spettroscopia carbonati marte

Concentrato ormai sulle barriere coralline fossili, perchè questo è in pratica buona parte di quel tratto di costa, complice anche la grande passione per la biologia marina e la fotografia subacquea, trascurai l’indagine su quello che era diventato una sorta di spettacolare pensatoio dove tornare periodicamente per riordinare le idee.

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Coralli fossili sulla costa attorno al Ciolo

Colonia di Madreporari (Cladocora caespitosa)

Colonia di Madreporari (Cladocora caespitosa) attuale fotografata a pochi metri di profondità

Un bel giorno però, durante una delle solite ricerche nella letteratura scientifica, mi imbattei in un lavoro pubblicato sulla rivista Quaternary International il cui titolo recitava: Large boulder accumulations by extreme waves along the Adriatic coast of southern Apulia (Italy) di Giuseppe Mastronuzzi e Paolo Sansò. Appena cominciai a leggere l’abstract si accese una lampadina in testa, un Eureka alla Archimede maniera. Recuperai molti altri lavori collegati e li studiai con la crescente consapevolezza che forse avevo imbroccato una strada interessante. E’ una sensazione difficile da spiegare ma è sicuramente uno dei momenti più entusiasmanti per chi si occupa di ricerca scientifica. Alla luce di quello che stavo imparando, il mio posto “strano” diventava improvvisamente chiarissimo da leggere.

Quello che avevo trovato poteva essere la prova evidente che uno tsunami aveva colpito la zona attorno al Ciolo in epoca abbastanza recente. Una scoperta sconvolgente per me perchè era evidente a questo punto che doveva essersi trattato di un evento terrificante.

Ma procediamo con ordine. Come si genera uno tsunami? Tutto parte da un brusco movimento sottomarino della crosta terrestre indotto da un terremoto, da una frana, un’eruzione vulcanica, etc. L’onda che si genera in superficie, inizialmente modesta, inizia a propagarsi con una velocità che al largo, in oceano, può raggiungere i 500-1000km/h. Quando l’onda comincia a sentire il fondo in prossimità della costa, per attrito comincia a rallentare fino a circa 90km/h e ad innalzarsi diventando alta da pochi cm a diverse decine di metri a seconda dell’energia che possiede. Contrariamente alle onde generate dal vento durante le mareggiate, che coinvolgono solo le masse d’acqua superficiali, quelle associate ad uno tsunami possono trasportare una tale quantità di acqua che sono in grado di inoltrarsi nell’entroterra anche per diversi km, con effetti devastanti, come nel caso del recente tsunami dell’11 Marzo 2011 che si è abbattuto sul Giappone.

Ma in Puglia può succedere qualcosa di analogo o comunque di potenza tale da seminare distruzione? La risposta purtroppo è sì, come dimostra la tabella seguente che elenca gli tsunami documentati che hanno colpito la nostra regione negli ultimi 700 anni, tratta dal lavoro riportato in basso a cui rimando per una trattazione più esaustiva.

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Evidenziato in rosso c’è il probabile candidato che riguarda il Ciolo, come mi confermò il Prof. Sansò dell’Università del Salento, uno dei maggiori esperti in circolazione sull’argomento, a cui mandai un piccolo reportage fotografico:
Caro Domenico, è probabile si tratti di blocchi trasportati da un maremoto, forse quello del 20 febbraio 1743 che ha prodotto l’accumulo di Torre S.Emiliano. L’epicentro del terremoto è situato 50 km a SE di Otranto per cui non ci sarebbe niente di cui stupirsi: il maremoto avrà sicuramente investito tutta la costa orientale del Salento.
Un caro saluto, Paolo

Il terremoto del 20 febbraio 1743 raggiunse il IX grado della Scala Mercalli e rase al suolo quasi completamente Nardò, Francavilla Fontana e Amaxichi sull’isola di Lefkada, in Grecia. I morti furono diverse centinaia, soprattutto bambini. L’epicentro in mare scatenò almeno due onde di tsunami provenienti da SSE che si abbatterono sulla costa con un run-up, ossia un’altezza massima delle onde, di 11 metri. Blocchi di decine di tonnellate furono letteralmente sradicati dalla zona intertidale (ce n’è uno di più di 70 tonnellate a Torre S.Emiliano), sollevati a parecchi metri di altezza e trasportati verso l’interno, decine di massi accatastati neanche fossero stati di gommapiuma, blocchi levigatissimi che originariamente si trovavano sul fondo del mare ai piedi della falesia, scagliati e riordinati lungo precise direzioni sulla costa. Un’apocalisse che non si trasformò in tragedia solo perchè molto probabilmente all’epoca la zona era disabitata e di difficile accesso (Gagliano del Capo era relativamente lontano e riparato essendo in cima ad una piccola altura).

A questo proposito invito gli storici a spulciare un po’ negli archivi. Potrebbero scoprire qualche testimonianza importante al riguardo.

Le tracce più evidenti si trovano poco prima di raggiungere le Grotte delle Cipolliane seguendo l’omonimo sentiero, ma c’è un secondo ammasso di bianchi massi levigati noto probabilmente a tutti coloro che frequentano la zona della Chiancareddha, di cui adesso conosceranno l’origine.

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Grosso masso accompagnato da una corte di altri più piccoli all’imboccatura di una grotta sommersa

I blocchi qui ripresi sono accatastati appena a sud del Porto Vecchio di Novaglie

Il lento ed inarrestabile arretramento della falesia provoca il distacco ed il crollo di numerose porzioni di parete rocciosa che si accumulano sul fondo del mare al piede della stessa. I blocchi qui ripresi sono accatastati appena a sud del Porto Vecchio di Novaglie

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Munte Lagnune, il nome locale della falesia del Ciolo, visto dalla Chiancareddha. In primo piano i massi strappati dal mare e accatastati sulla costa dalle onde di tsunami

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Giunti a questo punto, proviamo a visualizzare, seppur in maniera molto approssimativa con un fotomontaggio, cosa significherebbe un’onda di tsunami di 10 metri di altezza diretta verso l’insenatura del Ciolo, prendendo come riferimento il ponte che è a circa 25 metri sul livello del mare.

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Per rendere l’idea, immaginiamo che una persona sul ponte si accorga dell’onda che avanza quando è ancora ad 1km di distanza. Supponiamo in prima approssimazione che la velocità sia costante e di 90km/h, cioè 25 metri al secondo. L’onda raggiunge la costa in soli 40 secondi dopo l’avvistamento. Di fatto è fisicamente impossibile attuare qualunque strategia di messa in sicurezza.

Adesso riflettete un attimo. Se nel caso dello tsunami del 1743 alla fine si è ridotto tutto ad una devastazione e ridefinizione di alcuni tratti di costa rocciosa, provate ad immaginare cosa significherebbe un evento di tale portata oggi, soprattutto in estate, quando in prossimità del mare vivono o villeggiano decine, se non centinaia, di migliaia di residenti e turisti. Si potrebbe pensare che con le attuali tecnologie saremmo in grado di gestire una situazione di questo tipo, ma non è così. Nessuno è in grado di prevedere quando ci sarà il prossimo spaventoso terremoto nel Canale d’Otranto in grado di generare uno tsunami. L’unico strumento che abbiamo a disposizione è essere consci del pericolo ed adoperarci per ridurre al minimo i rischi conseguenti.

Domenico Licchelli – 2014

Per saperne di più:

  • Boulder accumulations produced by the 20th of February, 1743 tsunami along the coast of southeastern Salento (Apulia region, Italy) G. Mastronuzzi, C. Pignatelli, P. Sansò, G. Selleri – Marine Geology 242 (2007)

Un passo indietro per salvare il Ciolo – Paolo Sansò

La bellezza del paesaggio è sicuramente la risorsa che sostiene l’industria turistica salentina. Lo dimostra un’indagine promossa dalla Amministrazione Provinciale nel 2005: l’85% dei turisti che ogni estate si riversano nel Salento sono attratti dalla bellezza delle sue coste. Questo vuol dire che qualsiasi intervento venga realizzato sul territorio salentino per incentivare il turismo dovrebbe quanto meno lasciare inalterato il paesaggio o, meglio, aumentarne la qualità.

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Tra i luoghi più suggestivi del perimetro costiero salentino merita un posto speciale l’insenatura del Ciolo, posta nel territorio amministrativo di Gagliano del Capo. Probabilmente 220 mila anni fa, un corso d’acqua ha inciso, lungo questo tratto di costa, il substrato roccioso, modellando una stretta forra delimitata da pareti subverticali. Il corso d’acqua è scomparso, inghiottito dall’abisso del tempo geologico, ma quella stretta e profonda incisione è rimasta come una cicatrice indelebile nel paesaggio della regione. Un luogo suggestivo ed interessante perché su quelle pareti ripide si svela un prezioso libro geologico che racconta la storia di una scogliera corallina sviluppatasi oltre 5 milioni di anni fa, unica nell’area adriatica, l’ultima prima che il Mediterraneo si prosciugasse per lasciare il posto ad una enorme piana salata. Un luogo bellissimo e interessante ma purtroppo pericoloso.

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coralli fossili ciolo

coralli fossili ciolo

Osservando attentamente le rocce, sono evidenti le vestigia delle antiche barriere coralline di epoca Oligocenica e Messiniana

Negli ultimi 10.000 anni i processi carsici hanno lentamente ampliato la fitta rete di fratture presenti nel substrato roccioso, isolando lungo le pareti dei blocchi rocciosi di grosse dimensioni che sotto l’azione della gravità finiscono per cadere sul fondo della stretta incisione. Non è un caso che questa sia ingombra di blocchi rocciosi di grosse dimensioni. Un processo naturale, lento ma inesorabile. La pericolosità del luogo è stata scoperta recentemente anche dalle Istituzioni che ne hanno sancito l’elevata pericolosità sia geomorfologica che idraulica, cioè l’elevata probabilità che il crollo di blocchi o di una improvvisa riattivazione del corso d’acqua possa potenzialmente produrre danni a persone e cose.

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Insomma, la stretta forra (o gola) del Ciolo è pericolosa come tanti altri luoghi suggestivi del Salento, la falesia di Porto Miggiano (Comune di Santa Cesarea Terme), quella di Sant’Andrea (Comune di Melendugno), quella di Punta Ristola (Comune di Castrignano del Capo), solo per citarne alcuni.

Un luogo pericoloso va rispettato per evitare che si trasformi in un luogo a rischio, cioè in un luogo in cui nel caso di un evento naturale (nel nostro caso una frana o una inondazione) vengano a prodursi realmente dei danni a persone e cose. Al Ciolo questa semplice regola di buon senso non è stata rispettata. Incuranti o incoscienti del pericolo, i nostri nonni hanno realizzato delle abitazioni al piede delle alte pareti rocciose come altrettanto incuranti o incoscienti del pericolo, numerosi turisti e persone locali frequentano da sempre la piccola insenatura del Ciolo. Il risultato è drammatico: mettete persone e cose in una zona ad elevata pericolosità ed otterrete una zona ad elevato rischio!

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Si potrebbe obiettare che i tempi geologici con cui si svolge la naturale evoluzione geomorfologica del paesaggio rende i fenomeni di crollo e/o di eventuale inondazione molto rari e che tutto sommato il rischio è cosi basso da poter essere trascurato. Di certo i fenomeni di crollo lungo le ripide pareti che delimitano la forra del Ciolo sono rari e probabilmente si sono verificati in prevalenza durante terremoti.

Anche in questo caso molti tireranno un sospiro di sollievo pensando al basso grado di sismicità della regione magari ignorando che a poche decine di chilometri, sulla costa orientale del Canale d’Otranto, si trova una delle maggiori zone sismiche del Mediterraneo e ignorando ancora che un ultimo terremoto disastroso con epicentro a soli 50 km a SSE di Otranto si è verificato solo tre secoli fa, il 20 febbraio del 1743.

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Terremoti di magnitudine maggiore di 3 nel periodo 1973–2007 (USGS–NEIC)

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Terremoto del 26 Gennaio 2014, chiaramente avvertito in molte località salentine (Gagliano del Capo compreso), del Brindisino e su fino alla provincia di Bari

Mettiamola così: la frequentazione e l’urbanizzazione nell’area del Ciolo è come una pistola con il colpo in canna in attesa che qualcuno prema il grilletto. Una gigantesca roulette russa che ha come teatro il tempo geologico!

Informati ora della situazione di rischio presente nella forra del Ciolo siamo al momento delle scelte. Che fare? Quali strategie mettere in campo per mitigare o meglio annullare il rischio geologico in quest’area? La risposta tradizionale a questi problemi è semplice: utilizziamo la nostra tecnica per bloccare la naturale evoluzione del paesaggio che contrasta in maniera palese con la nostra volontà di usufruire della bellezza di quel luogo così suggestivo. Imbrigliamo allora i ripidi versanti in frana avvolgendoli in robuste reti metalliche, inchiodiamo i blocchi in equilibrio precario ed il gioco è presto fatto: avremo stabilizzato i versanti per un tempo sufficientemente lungo da garantire una sicura fruizione dei luoghi alla nostra generazione ed a quelle a venire.

In realtà questa soluzione non è del tutto indolore. Prima di tutto la collettività si deve far carico di un impegno economico di certo non trascurabile (per il Ciolo le opere previste per la mitigazione del rischio ammontano a 1.500.000 euro) e poi si deve in qualche modo accettare il rischio che gli interventi possano deturpare in maniera pesante la bellezza del paesaggio.

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E qui si entra in un circolo infernale: gli interventi che vengono realizzati perché si possa godere in sicurezza di un luogo di eccezionale bellezza naturalistica rendono il luogo sicuro ma brutto, e quindi non più frequentato dai turisti che andranno altrove a godersi luoghi di altrettanta incomparabile bellezza!

A dirla proprio tutta gli interventi progettati per il Ciolo non ridurranno a zero il rischio geologico. Sarà infatti praticamente impossibile ammantare di reti tutti i versanti e si opererà solo sulle situazioni che i tecnici hanno ritenuto di maggiore instabilità. Il rischio idraulico sul fondo della forra rimarrà tale e quale: in caso di un rovescio improvviso nulla impedirà all’onda di piena di portare via tutto e tutti. E da appassionato studioso degli effetti morfologici di maremoti storici lungo la costa pugliese ci aggiungerei il potere devastante di un maremoto, anche di piccola entità, in una insenatura così stretta e incassata come quella del Ciolo. Possibilità questa tutt’altro che remota. (Per saperne di più essendo il Ciolo una delle località già colpite in passato)

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Mareggiata di Scirocco nell’insenatura del Ciolo. Nonostante l’aspetto inquietante, queste onde sono ben poca cosa rispetto ad un’onda di maremoto che molto probabilmente scavalcherebbe le rocce sullo sfondo

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L’insenatura del Ciolo e lo stretto passaggio sullo sfondo trasformerebbero, per Effetto Venturi, un’eventuale onda di maremoto, già di suo mostruosa, in un micidiale e devastante muro d’acqua che si abbatterebbe sulla costa con velocità superiore ai 90km/h . L’intera spiaggetta del Ciolo diventerebbe una trappola mortale senza alcuna possibilità di fuga

Rimangono, inoltre, tutti i rischi legati alla presenza dell’immenso ponte stradale da cui possono essere lanciate per gioco pietre e bottiglie di birra, possono saltare fortuitamente pezzi di automobile e, come purtroppo la storia recente insegna, precipitarsi interi pullman turistici. Eventi sempre rari ma forse statisticamente più rilevanti di terremoti, alluvioni e maremoti.

Insomma, la risposta tradizionale al problema del rischio geologico del Ciolo, pur costosa, da una parte non mitigherà significativamente la situazione di rischio, dall’altra minaccerà inesorabilmente la bellezza naturale dei luoghi.

Alla luce di queste considerazioni mi permetto quindi di avanzare una proposta alternativa: facciamo un passo indietro per andare con sicurezza in avanti. Rispettiamo l’evoluzione naturale del paesaggio facendo divenire il Ciolo un luogo ancor più bello e solo pericoloso. Utilizziamo le risorse economiche a disposizione per azzerare il rischio geologico facendo un passo indietro, riparando cioè agli errori del passato.

Se i nostri antenati incoscienti e/o incuranti del pericolo hanno costruito delle abitazioni ai piedi di un’alta parete interessata da fenomeni di crollo, noi figli illuminati del terzo millennio acquistiamo le case per poi demolirle e ripristinare l’ambiente naturale. Il prossimo blocco crollerà su di un cespuglio di timo liberando un’esplosione di pungente profumo nell’aria.

Se nei mesi estivi le persone locali e i turisti, in maniera inconsciente e/o incurante, frequentano la piccola insenatura sotto il ponte o peggio si inoltrano all’interno della forra, noi figli illuminati di questa terra li prenderemo per mano invitandoli a fare il bagno un po’ più avanti, oltre il ponte, dove avremo preparato una comoda discesa al mare e un’area di sosta confortevole. E durante il breve tragitto potremo raccontare loro le affascinanti vicende di un corso d’acqua inghiottito dal tempo geologico e della meravigliosa storia geologica scritta su quelle pareti pericolosamente in frana. Giunti sulla piazzola, mentre si prepareranno a gustare l’abbraccio con le acque cristalline al sicuro di blocchi che franano, acque che scorrono, bottiglie che volano, li saluteremo con il sorriso orgoglioso di un popolo che ha salvato con intelligenza, coraggio ed amore la propria bellissima terra.

Paolo Sansò – 2014