La Via Lattea: la nostra isola nell’Universo – Anna Galiano

Estate è sinonimo di serate all’aperto, di chiacchiere con gli amici e, per gli appassionati di Astronomia, di caccia al tesoro celeste lungo la Via Lattea. Il Sistema Solare fa parte di un grande ammasso di stelle, materiale interstellare e polveri, noto come galassia, che nel nostro caso specifico è, appunto, la Via Lattea. Questa è una galassia a spirale barrata con un diametro maggiore di 100000 a.l. (anni luce); il Sole con i pianeti che gli ruotano attorno, è localizzato in uno dei suoi bracci. La Via Lattea attraversa il nostro cielo notturno come una banda biancastra, poiché le stelle che la compongono le conferiscono la debole nebulosità che ha dato origine al suo nome. Con una estensione di circa 30° nella nostra sfera celeste, la debole luce della Via Lattea può venire facilmente mascherata dall’inquinamento luminoso o dalla luce della Luna. Vi sono, inoltre, alcune zone scure all’interno della banda dovute alla presenza di materiale interstellare che blocca la radiazione luminosa proveniente dalle sorgenti luminose retrostanti.

Via Lattea estivaLa conferma che la nostra galassia è composta da stelle si è avuta nel 1610 quando Galileo Galilei puntò il proprio telescopio e scoprì che l’aspetto nebuloso era in realtà prodotto da una moltitudine di astri molto vicini tra loro, ben al di sotto del potere risolutivo dell’occhio nudo. Indagini moderne stimano la presenza di un numero compreso tra 100 e 400 miliardi di stelle al suo interno. Agli inizi del XX secolo le osservazioni condotte dall’astronomo e astrofisico statunitense Edwin Hubble hanno dimostrato che la Via Lattea è solo una delle tante galassie presenti nell’Universo.

La reale struttura della nostra galassia è ancora oggetto di discussione. Si è certi che questa sia una galassia con un nucleo barrato dalla quale si dipartono dei bracci a spirale logaritmica che racchiudono gas, polveri e stelle, dando origine, così, al disco galattico ed in particolare alla regione denominata thin disk, laddove avvengono i maggior processi di formazione stellare. Nella parte centrale del disco vi è il centro galattico, formato da una gran quantità di vecchie stelle disposte in maniera sferoidale, le quali generano una protuberanza (bulge). Visto dalla Terra il centro galattico, che risulta essere la regione più luminosa della Via Lattea, si trova in corrispondenza della costellazione del Sagittario, in prossimità della sorgente denominata Sagittarius A* caratterizzata da una forte emissione radio. Il moto dei corpi attorno ad essa tradisce la sua natura di oggetto compatto ma con una massa di 4.1-4.5 milioni di volte la massa del Sole, ossia un buco nero supermassivo. L’anticentro galattico, la parte opposta al centro galattico, si trova nella costellazione dell’Auriga.

Gli studi per comprendere la struttura della Via Lattea iniziarono negli anni ‘50 tramite l’indagine spettrale di alcune stelle di tipo O e B (stelle con elevate temperature superficiali) presenti nei bracci a spirale di alcune galassie esterne. I risultati maggiormente soddisfacenti si sono ottenuti però, con le osservazioni nella banda radio. Il mezzo interstellare presente nella nostra galassia è prevalentemente costituito da Idrogeno allo stato neutro, otticamente non osservabile, ma visibile nel radio. Lo stato neutro dell’Idrogeno corrisponde ad un protone e ad un elettrone che occupa lo stato più basso in energia corrispondente al livello 1s. Dall’interazione tra lo spin dell’elettrone e quello del protone tale livello 1s si sdoppia in due sottolivelli: quello con energia maggiore è descritto da elettrone e protone avente lo spin nello stesso verso (Spin totale pari a 1), quello con energia inferiore presenta elettrone e protone con spin opposto (Spin totale nullo). L’elettrone transitando dal livello con energia maggiore a quello con energia minore emette un quanto di energia (fotone) alla lunghezza d’onda pari a 21 cm. Questo è ciò che fu osservato dai radiotelescopi, permettendo così di evidenziare la presenza di Idrogeno e mappare la struttura della nostra galassia. Questa transizione è molto rara, ma essendo lo spazio interstellare costituito da una gran quantità di atomi di Idrogeno, tale riga è facilmente osservabile. La riga di emissione a 21 cm dell’Idrogeno ha permesso di identificare i due bracci principali che costituiscono la Via Lattea: il Braccio di Perseo e il Braccio Scudo-Centauro. Vi sono dei bracci complementari, come il Braccio del Cigno (parte esterna del Norma Arm) e il Braccio del Sagittario ed alcuni secondari, come Carina, e il Braccio di Orione, sede oltre che della Nebulosa di Orione da cui prende il nome, anche del Sistema Solare, il quale giace nella parte interna del braccio ad una distanza di circa 30000 a.l. dal centro galattico.

Dal confronto tra i risultati ottenuti nel campo ottico (utilizzando gli ammassi aperti di giovani stelle che ben descrivono la struttura esterna dei bracci di una galassia a spirale) e quelli acquisiti nell’indagine nelle onde radio (tramite addensamenti di gas molecolare CO, composto da Carbonio e Ossigeno) si è analizzato il Braccio del Cigno e il Braccio di Perseo. Il primo è ben tracciato sia dalle componenti stellari che dagli addensamenti di CO, mentre il Braccio di Perseo è individuato solo dalle componenti CO. La mancanza di tracce stellari nella parte esterna del Braccio di Perseo indica che il braccio Locale, ossia il Braccio di Orione lo stia lentamente perturbando. Si è inoltre notato, in un primo momento, che lungo il piano galattico, ad una distanza di circa 45000 a.l. dal centro galattico, in direzione dell’anticentro, la densità di materiale termina quasi bruscamente. In realtà, osservazioni più dettagliate hanno evidenziato che questa interruzione la si nota in tutte le direzioni; probabilmente tale comportamento è dovuto ad una deformazione del disco galattico. L’assenza di materiale a quelle distanze è solo un’illusione, poiché il disco galattico a circa 43000- 49000 a.l. subisce una deformazione verso il basso. Pertanto per osservare il prolungamento della galassia bisogna considerare latitudini inferiori a 0° rispetto all’equatore galattico. Inoltre, a distanza di circa 65000 a.l. dal centro galattico, sono state osservate stelle giovani, suggerendo che tale zona è una regione attiva di formazione stellare, tutt’altro che priva di materiale.

Gli ultimi risultati, in conclusione, suggeriscono che la nostra galassia abbia in realtà un diametro maggiore di quello sinora conosciuto, circa 130000 a.l..NGC6744Il disco galattico è circondato da astri e ammassi globulari che si estendono per centinaia di migliaia di anni-luce secondo una disposizione sferica, generando l’alone galattico. Il Chandra X-ray Observatory ha dimostrato che nell’alone galattico vi è una grande quantità di gas caldo con temperature comprese tra 1 milione e 2.2 milioni di gradi Kelvin e una massa confrontabile con la massa delle stelle nella galassia.

Una simulazione al computer molto dettagliata realizzata nel 2011 fornisce una spiegazione soddisfacente sulla struttura a spirale della Via Lattea, che sarebbe prodotta principalmente dall’interazione gravitazionale con la vicina Galassia  Ellittica Nana del Sagittario, che pian piano è distrutta ed assorbita dalla nostra galassia.

La Via Lattea, la Galassia di Andromeda, di cui ci occuperemo in un secondo momento data la sua importanza, e altre 70 galassie circa, formano il Gruppo Locale, che insieme ad altri 5 gruppi di galassie, appartiene all’Ammasso della Vergine, componente di una struttura ancora più complessa ed estesa, nota come Superammasso della Vergine. Attorno alla Via Lattea ruotano due galassie più piccole e delle galassie nane, tra le quali la Grande e la Piccola Nube di Magellano. Nell’Universo locale vi sono delle galassie simili alla Via Lattea, ma ce n’è una in particolare con la quale mostra più di un elemento in comune, NGC 6744 nella costellazione del Pavone a circa 30 milioni di a.l. di distanza. La galassia NGC 6744 ha la stessa struttura a spirale, con un diametro pari a 175000 a.l.. Inoltre, una galassia più piccola, NGC 6744A, confrontabile con la Grande Nube di Magellano, le ruota attorno. Per queste somiglianze la galassia a spirale NGC 6744 viene vista come un “fratello maggiore della Via Lattea”,  il “Big brother to the Milky Way”.    

La costellazione del Cigno – Anna Galiano

Una tra le costellazioni facilmente riconoscibili e dominanti nelle notti estive boreali è la costellazione del Cigno. Come suggerisce il nome, si presenta come un cigno ad ali spiegate che sovrasta uno sfondo costellato da molte deboli stelle della Via Lattea, osservabili in assenza di inquinamento luminoso.
Una parte della costellazione, formata dalla coda e dall’ala occidentale è circumpolare, mentre diviene completamente visibile da giugno (a Nord-Est) a novembre (a Nord-Ovest).
Via Lattea nel CignoIl corpo principale del Cigno è formato da cinque stelle di luminosità intensa, che conferiscono a questa costellazione il nome alternativo di “Croce del Nord”, in opposizione alla “Croce del Sud” visibile nell’emisfero australe.
La coda del Cigno è individuata dalla stella più luminosa della costellazione, Deneb (α Cygni), di magnitudine 1.25 e distante da noi 3000 anni luce. Deneb, insieme con i due astri più brillanti delle costellazioni dell’Aquila e della Lira, rispettivamente Altair e Vega formano un asterismo conosciuto come “Triangolo estivo”, il secondo dopo il “Grande Carro” a venir usato come orientamento nel cielo.

L’ala occidentale della costellazione è individuata da Ruch (δ Cygni), una stella tripla dalla magnitudine complessiva di 2.9, mentre nell’ala orientale si trova Gienah (ε Cygni), una stella gigante di magnitudine 2.45. Le due ali si uniscono su Sadr (ɣ Cygni), un’enorme stella con un raggio di circa 150 volte quello del Sole.
La testa del Cigno è sormontata da Albireo (β Cygni), una tra le stelle doppie più note, con una magnitudine complessiva di 3.35. I due astri, la cui separazione angolare è di 35’’, hanno colori differenti e questo permette di distinguerli anche con telescopi di ridotta risoluzione: la stella primaria ha un colore arancio mentre la secondaria è bianco-azzurra.
Un’altra stella degna di nota è 61 Cygni, distante 11 anni luce: è stata la prima stella doppia di cui è stata calcolata la distanza dalla terra con una buona precisione, avvenuta ad opera di Bessel nel 1838.
Vi è poi 16 Cygni, un sistema stellare triplo composto da due stelle simili al Sole, delle nane gialle (16 Cygni A e 16 Cygni B) e da una nana rossa (16 Cygni C). E’ stato scoperto un pianeta extrasolare orbitante attorno a 16 Cygni B con una massa pari a 1.5 volte quella di Giove.
Poiché questa costellazione giace sulla Via Lattea, racchiude altri affascinanti e misteriosi oggetti celesti:

  • nebulose, tra cui la NGC 6888 (Nebulosa Crescente), NGC 6960 (Nebulosa Velo) e NGC 7000 (Nebulosa Nord America), distante 3° da Deneb e con una luminosità molto tenue;
  • ammassi aperti, come M29 e M39;
  • Cygnus X-1, una sorgente continua di raggi X scoperta negli anni ’70. Tra le varie ipotesi vi è quella che sostiene la presenza di un buco nero nel suo centro.

Vi è una regione oscura che da Deneb si estende parallelamente lungo il corpo del Cigno, nota come “Fenditura del Cigno” (Cygnus Rift). Questa è la conseguenza della presenza di materiale interstellare, come polveri e gas, che assorbono la radiazione luminosa proveniente dalle stelle restrostanti.
Il nome della costellazione è legato alla mitologia greca, più precisamente al mito di Zeus e Leda. Una di queste versioni narra che il re degli dei, invaghitosi di Leda, moglie del re di Sparta Tindareo, volle vincere le resistenze della donna trasformandosi in cigno. Da quell’unione Leda partorì Castore e Polluce, Clitemnestra ed Elena. Castore e Polluce sono le stelle principali della costellazione dei Gemelli di cui ci occuperemo in futuro.
Per visualizzare le mappe e trovare gli oggetti celesti consigliati è opportuno dotarsi di un planetario software come Stellarium

La costellazione della Lira – Giulia Alemanno

La Lira è una piccola ma molto interessante costellazione boreale situata tra Ercole e il Cigno. Nelle notti d’estate è semplice individuare questa costellazione dal momento che Vega, la sua stella più brillante, è quasi allo Zenit e costituisce il vertice nord- occidentale del Triangolo Estivo, un famoso asterismo che nell’emisfero boreale appare appena dopo il tramonto da Giugno ed è visibile fino ai primi giorni di Gennaio. Le altre due stelle del Triangolo Estivo sono Altair, stella a della costellazione dell’Aquila, e Deneb, la stella più brillante della costellazione del Cigno.
Triangolo EstivoVega, anche chiamata a Lyrae, è la quinta stella in splendore di tutto il cielo, la seconda se si considera soltanto l’emisfero boreale celeste. Si tratta di una stella bianca con una massa pari a due masse solari e una luminosità 37 volte maggiore rispetto a quella del Sole. Ha una temperatura superficiale di circa 10000 gradi Kelvin ed è definita dagli astronomi “la stella più importante nel cielo dopo il Sole”. Il suo carattere di stabilità ha fatto sì che essa venisse assunta come modello di riferimento per la misura di alcuni parametri caratteristici delle stelle come ad esempio la magnitudine (splendore della stella). A Vega è stata pertanto assegnata una magnitudine di ordine 0. Essa appartiene alla classe spettrale A0. Le stelle, infatti, vengono classificate in base all’analisi del loro spettro, ovvero della distribuzione energetica della radiazione emessa dalla stella. La classe spettrale è assegnata in ultima analisi sulla base delle caratteristiche prodotte dalla sua temperatura superficiale. Per saperne di più visitate l’Astro-Percorso a tema.

Vega, nonostante le sue regolarità, ha riservato delle straordinarie sorprese. Nel 1983, grazie alle osservazioni compiute dal satellite IRAS (Infrared Astronomical Satellite) a lunghezze d’onda comprese tra 12 e 100 μm, si scoprì che Vega emette nell’infrarosso molto più di quanto ci si aspettasse. Questo fenomeno fu interpretato come conseguenza della presenza di una nebulosa protoplanetaria nell’intorno della stella, ovvero di un corpo più freddo ma anche molto più esteso della stella stessa che veniva in qualche modo riscaldato dalla radiazione da essa emessa.
Infine, un’altra caratteristica che rende affascinante la storia di questa stella è che essa, a causa del moto di precessione dell’asse terrestre, indicherà la direzione del nostro Nord tra circa 13700 anni. Infatti, per effetto del moto conico dell’asse terrestre, la posizione del Polo Nord non è stata e non sarà sempre indicata dalla Stella Polare. Tra circa 5000 anni toccherà alla stella a Cephei, tra 13700 anni circa a Vega, per poi tornare a coincidere con la Stella Polare solo tra 25700 anni circa.
costellazione lyraLe altre stelle principali della costellazione della Lira sono:

– β Lyrae (anche detta Sheliak in arabo che significa arpa), la seconda in splendore della costellazione, è una stella di classe spettrale B7, della quale Margherita Hack ha scritto: “Una mia vecchia conoscenza che ho potuto studiare a lungo utilizzando i primi satelliti in grado di dare spettri stellari nell’ultravioletto, ed è stata una delle prime a dare delle sorprese inaspettate”.
Prima degli studi nell’ultravioletto si sapeva che β Lyrae era una stella doppia, appartenente alla categoria delle binarie ad eclisse, coppie di stelle il cui piano orbitale contiene la nostra visuale. Ogni volta che le due stelle vengono a trovarsi allineate con l’osservatore una stella eclissa l’altra. Dallo studio delle eclissi si possono ricavare informazioni sui raggi e sulle luminosità relative delle due stelle. Nel caso di β Lyrae, le due stelle si eclissano ogni 12,9 giorni, ma si riusciva a osservare una sola stella dalla temperatura di circa 13000 gradi. Studiando il moto orbitale della stella visibile, si scoprì che essa ha una massa pari a circa 3 masse solari, mentre l’altro oggetto del sistema ha una massa pari a 13 masse solari. Quindi contrariamente a quanto accade per le stelle “normali”, è la stella più piccola ad essere la più luminosa.
La serie di osservazioni di Beta Lyrae, protrattesi dal 1973 fino alla fine degli anni Settanta, sono state un esempio di esaltante collaborazione internazionale, di utilizzo di vari tipi di satelliti americani e europei, di simultanee osservazioni dello stesso oggetto dai telescopi a Terra, di scambi di idee e di risultati delle misure tramite telefono e posta, in un’epoca in cui non c’era ancora la posta elettronica, e i nastri magnetici su cui erano registrate le osservazioni dallo spazio viaggiavano da est ad ovest e da ovest ad est in aereo.” (Hack, 2010). – RR Lyrae è una stella variabile pulsante che ha dato il suo nome ad un’intera classe di stelle, le Variabili RR Lyrae. Si tratta di variabili regolari che passano da un massimo ad un minimo splendore in un periodo costante, minore di un giorno (Hack, 2011).

– RR Lyrae al suo massimo è appena oltre la visibilità ad occhio nudo (magnitudine 7.1). Le RR Lyrae appartengono tutte alla stessa classe spettrale A0 ed hanno una temperatura superficiale di 10000 gradi kelvin. Il tipo spettrale si sposta verso F, G o K all’aumentare dello splendore e della lunghezza del periodo. Queste variabili sono chiamate pulsanti poiché la variazione di luminosità è prodotta da oscillazioni delle parti più esterne della stella, associate a variazioni della sua temperatura superficiale.
Anche dette variabili degli ammassi globulari, queste stelle presentano tutte lo stesso splendore intrinseco pari a 100 volte quello del Sole. Questo è il motivo per il quale esse sono utilizzate per determinare la distanza tra noi e l’ammasso in cui si trovano. Lo splendore intrinseco è quello splendore che avrebbero tutte le stelle se fossero alla stessa distanza noi, assunta convenzionalmente pari a 32,6 anni luce. Dalla misura dello splendore apparente è possibile determinare la distanza sapendo che il rapporto tra splendore apparente e assoluto è pari al quadrato di tale distanza diviso 32,6.
Harlow Shapley (1885 – 1972), alla fine degli anni venti riuscì a determinare la posizione del Sole all’interno della Galassia proprio grazie allo studio degli ammassi globulari. Shapley notò che si osservava un maggior numero di ammassi nella direzione della costellazione del Sagittario. Da ciò dedusse che il centro galattico doveva trovarsi in quella regione e utilizzò poi le variabili RR Lyrae per misurarne la distanza. Ottenne un valore pari circa a 50000 anni luce, di gran lunga maggiore al valore oggi comunemente accettato, compreso tra 25000 e 27000 anni luce. Tale sovrastima è dovuta alla presenza delle polveri interstellari, scoperte nel 1930, che assorbendo la luce stellare fanno apparire le stelle più deboli e quindi più lontane di quanto siano realmente.

– γ Lyrae è una stella multipla, la principale ha un colore azzurro, una magnitudine apparente di 3,24 ed appartiene alla classe spettrale B9. Si tratta di una stella gigante che ha esaurito l’idrogeno nel suo nucleo uscendo così dalla sequenza principale, una banda continua di stelle che appare nel diagramma di Hertzsprung-Russell. Si tratta una rappresentazione grafica che mette in relazione la temperatura effettiva (in ascissa) e la luminosità (in ordinata) delle stelle. γ Lyrae viene anche chiamata con Sulafat, nome di origne araba che vuol dire “tartaruga” in riferimento all’origine leggendaria della Lira. Secondo la mitologia greca, infatti, la Lira era lo strumento musicale di Orfeo, creato da Mercurio, figlio di Giove e di Maia, una delle sette Pleiadi. La leggenda racconta che Mercurio creò la Lira utilizzando come cassa armonica il guscio di una tartaruga ai cui bordi tese sette cordicelle. La musica divina di questo strumento permise a Mercurio di rubare cinquanta mucche di Apollo. Questi, una volta scoperto il furto e con esso il responsabile, decise di punire Mercurio. Il piccolo capì il pericolo e iniziò a suonare la Lira. La musica divina estasiò a tal punto Apollo da convincerlo a lasciar andare Mercurio facendosi consegnare in cambio la Lira stessa.
Apollo donò la Lira a Orfeo e da quel momento egli accompagnò tutti i suoi versi con il meraviglioso strumento ricevuto in dono.
Purtroppo però, la storia non finisce qui, perché quando Orfeo sposò Euridice iniziò la tragedia. La bella Euridice per sfuggire da Aristeo, un suo ammiratore, venne morsa da un serpente il cui veleno la condusse alla morte. Orfeo disperato scese negli inferi chiedendo a Proserpina, regina del regno dei morti, di poter riavere Euridice. La musica e i dolci versi convinsero Proserpina, la quale però impose una condizione: nel ritorno dagli inferi Orfeo doveva precedere la sua amata senza mai voltarsi a guardarla. I due amanti erano quasi giunti all’uscita degli inferi quando Orfeo si voltò e Euridice venne risucchiata nel regno dei morti. Orfeo disperato iniziò a vagare senza una meta e declinò molte proposte da parte di altre belle ragazze, le quali offese dal suo rifiuto decisero di ucciderlo. Solo allora Orfeo poté riunirsi alla sua amata, mentre le Muse disponevano la sua Lira in cielo.

– δ Lyrae è una binaria spettroscopica, formata da una stella blu-bianca di sesta magnitudine e una gigante rossa semiregolare la cui magnitudine varia tra 4 e 5. Una binaria spettroscopica è una stella binaria che non può essere risolta in maniera visuale, neanche utilizzando i telescopi più potenti. Questo avviene o perché le stelle sono molto vicine tra di loro o perché sono molto distanti da noi. Ciò che ci permette di risolvere le due stelle è l’analisi dello spettro che mostra chiaramente lo sdoppiamento e lo spostamento periodico delle righe spettrali.

– ε Lyrae è la famosa “doppia – doppia”. Utilizzando anche un piccolo binocolo è possibile distinguere due stelle azzurre. Attraverso strumenti più potenti si nota poi che ognuna di queste stelline è formata in realtà da due stelle.

Un altro oggetto caratteristico della costellazione della Lira è la Ring Nebula, la nebulosa ad anello classificata come M57 nel catalogo Messier. M57Questa nebulosa è il risultato dell’evoluzione di una stella quasi simile al Sole. Osservare questa nebulosa è un po’ come guardare nel futuro della nostra stella perché essa mostra come diventerà il Sole tra circa 5 miliardi di anni, dopo la fase di gigante rossa; al centro di una nube di gas e polveri rimane una stellina piccola e molto calda detta nana bianca. Le nane bianche rappresentano l’ultima fase dell’evoluzione di stelle piccole o medio-piccole, come il nostro Sole. Queste stelle dopo aver concluso la fase di equilibrio, caratterizzata dal processo di fusione di idrogeno in elio, attraversano una fase di instabilità durante la quale gli strati più esterni della stella, riscaldati dall’energia prodotta dalle nuove reazioni di fusione, si espandono. L’involucro esterno della stella si dilata ma nello stesso tempo si raffredda portando la stella ad assumere dimensioni molto più grandi e diventare così una gigante rossa. Quando le reazioni nucleari si arrestano definitivamente, il nucleo non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che provoca il collasso della stella. Quest’ultima perde gran parte della sua massa e si trasforma in nana bianca, un corpo piccolo (il diametro delle nane bianche è paragonabile a quello della Terra) ma molto denso. La materia all’interno della nana bianca è in uno stato degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei ma si dispongono intorno ad essi in modo tale da impedire un ulteriore collasso. La nana bianca, non potendo contrarsi ulteriormente si raffredda lentamente e si trasforma così in una nana nera, densa e oscura, non più visibile.

Sotto una pioggia di stelle – Giulia Alemanno

Come ogni estate, aspettiamo la pioggia di stelle della notte di San Lorenzo per esprimere i nostri desideri e affidare i nostri sogni a quelle tracce luminose che appaiono nel cielo. “E’ una notte come tutte le altre notti. E’ una notte con qualcosa di speciale….. Vedo stelle che cadono nella notte dei desideri” canta Jovanotti.

Da sempre i desideri sono stati connessi alle stelle. Lo dice il nome stesso: de + sidera che in latino vuol dire proprio stella. Le stelle cadenti hanno affascinato tutti. Molti poeti hanno dedicato loro versi:

“Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or subito foco, movendo li occhi che stavan sicuri, e pare stella che tramuti loco, se non che da la parte ond’e’ s’accende nulla sen perde, ed esso dura poco…” scriveva Dante

In realtà le tracce luminose che osserviamo in cielo hanno ben poco a che fare con le stelle. Si tratta piuttosto di frammenti e polveri disseminate dal passaggio di una cometa. Le comete sono corpi minori del Sistema Solare, le cui dimensioni variano da qualche chilometro a qualche decina di chilometri ed hanno un nucleo formato da ghiaccio, ossido e biossido di carbonio, ammoniaca e acido cianidrico il tutto impastato con granuli metallici e polveri rocciose (silicati in particolare), grafite, polisaccaridi e polimeri organici. L’immagine ottenuta dalla sonda Giotto, che nel 1986 entrò nella chioma della cometa Halley, ha rivelato un nucleo particolarmente scuro, con un albedo molto basso, probabile conseguenza della copertura della superficie da parte di molecole organiche pesanti depositate dopo la sublimazione dei ghiacci sottostanti. Le comete possono essere di due differenti tipi:

  • Comete a corto periodo – che va da una decina di anni fino al massimo a duecento anni. Provengono dalla Fascia di Kuiper. Si tratta di una regione del Sistema Solare composta da un numero elevato di corpi minori (più di un migliaio quelli scoperti ad oggi), detti anche corpi trans-nettuniani poiché situati oltre l’orbita di Nettuno, da una distanza di 30 UA (UA. = unità astronomica = distanza media Terra – Sole, pari circa a  1.5*108 km) fino a 50 UA. circa.

  • Comete a lungo periodo – pari a migliaia, decine di migliaia e forse anche milioni di anni. Provengono dalla Nube di Oort, dal nome dello scopritore, l’astronomo olandese Jan Oort che per primo ipotizzò la presenza di questa nube agli estremi confini del Sistema Solare. La nube di Oort è situata, infatti, a una distanza pari circa a 50000 UA. ed è sede di milioni di nuclei cometari. Ciò che porta questi oggetti, così lontani dal Sole, verso l’interno del Sistema Solare è la “regina” delle forze: la gravità. Talvolta, infatti, delle perturbazioni gravitazionali prodotte da stelle poste nelle vicinanze e l’azione mareale della Galassia creano sconvolgimenti all’interno della nube e spingono qualche componente di essa verso le regioni interne del Sistema Solare. Alcune di queste comete vengono poi “intrappolate” dall’attrazione gravitazionale del Sole e si inseriscono pertanto in un’orbita chiusa ed ellittica attorno ad esso. Altre, invece, si muovono su orbite paraboliche o iperboliche, avvicinandosi al Sole per poi allontanarsi per sempre. Queste ultime fanno parte di una terza categoria costituita dalle comete non periodiche.

Quando questi corpi rocciosi si avvicinano al Sole, subiscono un gigantesco processo di evaporazione degli elementi volatili che vanno a formare la chioma, una specie di atmosfera che circonda il nucleo, e la coda. La coda costituisce la caratteristica più spettacolare delle comete, si estende per qualche milione di km ed ha una densità molto bassa per cui la Terra attraversando tale coda non avverte nulla. Questo ci riporta immediatamente indietro nel tempo, al 1910, anno in cui la Terra attraversò la coda della famosa cometa Halley, dal nome di Edmund Halley, astronomo inglese, il quale studiando l’astro, nel 1682, scoprì la sua periodicità, pari circa a 76 anni. L’evento, annunciato dai giornali dei vari Paesi, scatenò uno stato di panico collettivo. Tutto iniziò quando l’astronomo francese Camille Flammarion (1842-1925), pubblicò un articolo nel quale spiegava i vari modi in cui i gas della cometa avrebbero potuto potenzialmente portare alla fine del mondo. “Ce n’erano per tutti i gusti, anche quello dell’alterazione della concentrazione dell’azoto nell’aria che, se non altro, avrebbe avuto il merito di far morire tutti tra le risate, grazie all’euforia che tale squilibrio provoca nel nostro cervello.”, ha scritto Margherita Hack. La reazione fu eclatante: molti si gettarono dalla finestra perché non riuscivano ad aspettare il momento del passaggio, altri invece cercavano in tutti i modi di sfuggire alla morte comprando pillole anticometa, maschere antigas e addirittura bottiglie “gonfiate di aria purissima” dall’industria Michelin. D’altra parte per lungo tempo le comete erano state interpretate come presagio di sventure, associate spesso a fenomeni mortali come le epidemie di peste. Era opinione comunemente diffusa che le comete portassero guai, tranne alcune rare eccezioni come la nascita di Cristo. Anche se alcuni astronomi ritengono che il passaggio della cometa, in questo caso, non si sia mai verificato realmente. Fu solo in seguito al dipinto di Giotto “Adorazione dei Magi”, raffigurante la cometa sulla capanna della Natività, che essa entrò a far parte dell’iconografia del Natale.

Le comete presentano in realtà due code:

  • una coda costituita da polveri che assume una colorazione giallastra;

  • una coda di ioni, costituita da plasma, di colore bluastro a causa delle emissioni del CO ionizzato. Quest’ultima interagisce direttamente con il vento solare ed è più veloce della prima. Le due code sono soggette sia all’attrazione gravitazionale sia alla forza repulsiva della pressione di radiazione. E’ a causa di quest’ultima che le code si dispongono in direzione opposta al Sole.(Hack, 2010)  

G. Rhemann image of C/1995 O1 (Hale-Bopp) exposed on 1997 March 27

Copyright © 1997 by Gerald Rhemann (Austria) This image of comet Hale-Bopp was obtained by Rhemann on 1997 March 27.78. He was using a 190/255/435mm Schmidt camera and Kodak Gold 400. The exposure time was 8 minutes.

A ogni passaggio vicino al Sole il nucleo della cometa diventa sempre più piccolo. Essa, infatti, lascia una scia di polveri lungo la sua orbita. Queste ultime quando incontrano la Terra, sono chiamate meteore poiché entrando nell’atmosfera terrestre si incendiano lasciando una traccia luminosa al loro passaggio, da cui deriva appunto il nome di “stella cadente”.   La Terra, in determinati periodi dell’anno, attraversa delle regioni dello spazio ricche di queste “tracce” di cometa che entrando nell’atmosfera danno luogo a veri e proprio sciami meteorici. Tra i più noti abbiamo proprio lo sciame delle Perseidi, il cui nome deriva dal fatto che la direzione sulla volta celeste dalla quale sembrano provenire le meteore è quella della Costellazione di Perseo. Un tempo il massimo di frequenza di questo sciame cadeva proprio nella notte di San Lorenzo e il Santo fu inevitabilmente tirato in ballo. « San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla… » (Giovanni Pascoli). San Lorenzo, fu messo al rogo all’età di soli 33 anni nella notte del 10 Agosto 258, per volere dell’imperatore Valeriano. Quest’ultimo emanò un editto secondo il quale tutti i vescovi, presbiteri e diaconi (come San Lorenzo) dovevano essere uccisi. Le stelle cadenti in quella notte vennero così interpretate come le lacrime del Santo.

Oggi il massimo di frequenza si è spostato di ben due giorni, quindi lo sciame delle Perseidi avrà una maggiore visibilità nella notte tra il 12 e il 13 Agosto. Le Perseidi hanno origine dalle polveri seminate dalla cometa Swift – Tuttle che prende il nome dai suoi scopritori: Leon Swift e Horace Parnell Tuttle. Si tratta di una cometa periodica con un periodo pari circa a 133,28 anni, il cui ultimo passaggio al Perielio (punto più vicino al Sole) è avvenuto nel 1992 e il prossimo è previsto per il 15 Luglio 2126. Il legame tra le Perseidi e la cometa Swift – Tuttle fu reso noto dall’astronomo italiano Giovanni Virgilio Schiaparelli nel XIX secolo.

La responsabile delle tracce luminose osservate in cielo è poi la forza d’attrito tra queste particelle e l’atmosfera che genera un calore sufficiente a eccitare e ionizzare le molecole dell’atmosfera che pertanto emettono la scia luminosa. “Quanno me godo da la loggia mia quele sere d’agosto tanto belle ch’er celo troppo carico de stelle se pija er lusso de buttalle via, ad ognuna che casca penso spesso a le speranze che se porta appresso.” diceva Trilussa.

 Se queste polveri viaggiano nella stessa direzione della Terra, penetrano nell’atmosfera del nostro pianeta ad una velocità pari circa a 36000 km/h. Se invece, Terra e polveri viaggiano in direzioni opposte, quest’ultime raggiungono una velocità di 25000 km/h (Hack, 2010). Le meteore con una magnitudine pari circa a -3, ovvero le più brillanti, vengono chiamate bolidi, in base alla definizione dell’International Meteor Organization. I corpi che non sublimano completamente nell’atmosfera prendono il nome di meteoriti. Questi ultimi hanno dimensioni maggiori rispetto alle meteore e precipitano al suolo creando talvolta grandi crateri d’impatto, come il Meteor Crater in Arizona, che ha una profondità pari circa a 170 m e una larghezza di 1200 m. In base alla loro composizione le meteoriti si dividono in meteoriti ferrose, costituite prevalentemente da agglomerati di cristalli di Ferro e Nichel e meteoriti rocciose, costituite prevalentemente da silicati.   Le meteore possono essere osservate anche in altri periodi dell’anno.

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Astronomer Fred Bruenjes recorded a series of many 30 second long exposures spanning about six hours on the night of 2004 August 11/12 using a wide angle lens. Combining those frames which captured meteor flashes, he produced this dramatic view of the Perseids of summer. Although the comet dust particles are traveling parallel to each other, the resulting shower meteors clearly seem to radiate from a single point on the sky in the eponymous constellation Perseus. Fred Bruenjes/NASA

Abbiamo altri sciami meteorici tra i quali:

  • lo sciame delle Orionidi, nel mese di Ottobre, con massimo di visibilità attorno al 22, dovuto alle polveri della cometa di Halley;

  • lo sciame delle Leonidi, attorno al 17 Novembre, dovuto alle polveri lasciate dalla cometa Tempel-Tuttle;

  • Le Liridi, tra il 15 e il 20 Aprile, provenienti dalla cometa C/1861 G1 Thatcher;

Oltre a questi esistono molti altri sciami più deboli e meteore “sporadiche”non legate a particolari progenitori. E’ stato calcolato che ogni anno il nostro pianeta attrae in media 40000 tonnellate tra meteore e meteoriti, molte delle quali finiscono in fondo agli oceani o nei deserti.

Ritornando alle nostre Perseidi, quest’anno possiamo considerarci abbastanza fortunati, perché l’assenza della Luna in cielo faciliterà l’osservazione. Il 6 Agosto, infatti, è Luna Nuova e nelle notti a seguire la Luna tramonterà prima della mezzanotte proprio quando il numero delle meteore inizierà ad aumentare, poiché l’osservatore si trova sulla parte della Terra che avanza lungo la propria orbita verso le polveri della cometa. Per osservare il maggior numero di meteore possibile è consigliabile recarsi in luoghi bui, lontani dall’inquinamento luminoso delle città, quindi anche in spiaggia per i più romantici, e di aspettare notte fonda. Soprattutto, ricordiamo, nella notte tra il 12 e il 13 Agosto. Quindi desideri pronti, le nostre meteore stanno arrivando! “Stella, se ci credi davvero, tutti i desideri possono avverarsi.” Barbarén

De Stella Nova (alias Nova Delphini 2013) – Anna Galiano

Una sera d’estate, passeggiando in riva al mare, alzate lo sguardo, come al solito, verso la Via Lattea. Le nubi di polvere e le pallide distese stellari ne tracciano il profilo consueto ma ad un certo punto notate una stella in una posizione in cui fino alla sera prima non c’era niente. In epoca di connessione in rete perenne ci vuol poco per recuperare da internet un’immagine di archivio di quella regione celeste e, con grande sorpresa, scoprire che effettivamente la stella che brilla sotto i vostri occhi è una stella ospite, una Nova, come la definirono gli antichi. Potrebbe trattarsi anche di una Supernova ma non potete stabilirlo semplicemente ad occhio nudo. La probabilità che si verifichi un evento del genere è piuttosto bassa ma non nulla, data l’agguerritissima concorrenza di survey automatiche e cacciatori di Novae che scandagliano il cielo in ogni notte serena.

nova delphiniQuello che si può certamente fare con successo è gustarsi una recentissima scoperta che sta impreziosendo ulteriormente il nostro cielo, la Nova Delphini 2013.

Contrariamente a quanto farebbe supporre il nome, una Nova non è realmente una nuova stella, ma il risultato di un’esplosione che rende visibile un astro altrimenti troppo debole per essere percepito perfino con i telescopi di piccola apertura. Il fenomeno “nova” è in effetti una potente esplosione nucleare che comporta un repentino aumento della luminosità della stella di circa un milione di volte e che riguarda una nana bianca che fa parte di un sistema binario la cui secondaria è una nana rossa o arancione e più raramente una gigante.

Differentemente dall’esplosione di Supernova, processo che avviene una sola volta e che distrugge completamente la stella coinvolta, quello di una Nova riguarda gli strati esterni, per cui la stella rimane sostanzialmente integra, tanto che il processo può anche ripetersi in futuro. Conosciamo più in dettaglio i protagonisti della nostra storia.

Le nane rosse sono stelle con una massa molto ridotta, compresa tra 0.075 e 0.50 masse solari, di tipo spettrale M. Sono sicuramente le più comuni anche se difficili da osservare per la loro bassa luminosità. Hanno le dimensioni minime che permettono di innescare processi di fusione nucleare di Idrogeno in Elio al loro interno e pertanto appartengono alla sequenza principale del diagramma di Hertzsprung-Russell. Le temperature relativamente basse all’interno del nucleo permettono la lenta produzione di Elio che, mediante moti convettivi, viene trasportato in superficie generando una luminosità pari a circa il 10% di quella del Sole. La vita media di queste stelle è tanto più lunga quanto più piccola è la propria massa. Infatti stelle con una massa inferiore alle 0.8 masse solari non hanno ancora lasciato la sequenza principale il che si rivela un utile indicatore per stimare l’età degli ammassi stellari che le contengono. Le nane arancioni sono delle stelle di classe spettrale K e luminosità V appartenenti alla sequenza principale e sono una via di mezzo tra le nane rosse (classe spettrale di tipo M) e le nane gialle (classe spettrale di tipo G). Le nane arancioni hanno una massa di 0.6-0.9 masse solari ed una temperatura di 3900-5200 Kelvin. Queste stelle sono di particolare interesse poiché la loro stabilità nella sequenza principale è una condizione che facilita la presenza di pianeti simili alla Terra orbitanti attorno ad esse e quindi possibilità di vita extraterrestre. Le giganti sono delle stelle di elevate dimensioni e luminosità e si formano in uno stadio avanzato dell’evoluzione stellare.

Il ciclo evolutivo delle stelle in funzione della loro massa (Disegno di Michelangelo Miani)

Le stelle giganti si distinguono in: giganti rosse, giganti gialle e giganti blu. Le giganti rosse sono dotate di masse medio-basse (tipicamente tra 0.3 e 8 masse solari) e temperatura superficiale di circa 4000 Kelvin. Le giganti rosse più comuni sono quelle disposte nel red-giant-branch (RGB) del Diagramma HR, le quali continuano a bruciare Idrogeno in Elio in strati esterni attorno al nucleo composto da Elio inerte. Hanno un raggio di decine o centinaia di volte rispetto a quello del Sole ed una luminosità cento volte superiore rispetto a quella della nostra stella. Modelli di evoluzione stellare e le relative simulazioni mostrano che nel momento in cui il nostro Sole, tra circa 5 miliardi di anni, cesserà di bruciare Idrogeno nel nucleo diverrà un gigante rossa e aumenterà drasticamente le proprie dimensioni. La Terra, come anche Mercurio e Venere, finirà inglobata nella sua atmosfera e andrà incontro alla propria fine disintegrandosi. L’esempio più noto di gigante rossa è Aldebaran, la stella principale della costellazione del Toro.

Le giganti gialle hanno temperature intermedie per questo sono di classe spettrale G, F e a volte A. Vi è una minore quantità di giganti gialle rispetto alle giganti rosse poiché il tempo trascorso dalle stelle in questa fase è relativamente breve. Queste stelle hanno una luminosità molto elevata e possono portare alla formazione di stelle variabili, mentre giganti gialle di massa moderata possono divenire delle giganti rosse. Le giganti blu, sono di classe spettrale O e B pertanto hanno temperature pari o superiori a 10000 Kelvin e un raggio di 5-10 volte quello solare. Sono estremamente rare tanto da trovarle quasi esclusivamente nelle Associazioni OB (la cintura di Orione è parte di una delle più note).

Una nana bianca è lo stadio finale di una stella di medio-piccole dimensioni. Pur avendo dimensioni confrontabili con la Terra ha una massa pari o simile a quella del Sole (1030Kg), il che implica che si tratta di un oggetto particolarmente denso e con gravità superficiale elevatissima. Si ritiene che quando una stella di medio-piccole dimensioni cessa di bruciare, all’interno del nucleo, le proprie riserve di Idrogeno in Elio giunge al termine della propria vita nella sequenza principale e pertanto si espande divenendo una gigante rossa che trasforma Elio in Carbonio e Ossigeno mediante un “processo triplo-alfa”. Se la gigante rossa non ha all’interno del nucleo una temperatura tale da bruciare Carbonio, allora avverrà l’espulsione di materiale degli strati esterni, generando una nebulosa planetaria nel cui centro rimarrà una massa inattiva di Carbonio e Ossigeno, ossia la nana bianca. Se la massa della stella iniziale è compresa tra 8 e 10.5 masse solari, la gigante rossa avrà una temperatura interna al nucleo tale da bruciare Carbonio ma non Neon, quindi si formerà una nana bianca composta da Ossigeno-Neon-Magnesio. Una nana bianca appena formata è molto calda ma poiché non si innesca più alcuna reazione al suo interno perde gradualmente la propria energia termica divenendo una nana nera. Comunque il tempo necessario affinché una nana bianca diventi una nana nera è stato stimato superiore all’età dell’Universo (13.8 miliardi di anni).

Artistic view of a nova explosion depicting the binary stellar system. Credit: David A Hardy and STFC

Adesso che i nostri attori sono in scena ritorniamo alla loro rappresentazione principale: l’esplosione di una Nova. In base alla periodicità del fenomeno e alle caratteristiche con la quale questo processo avviene, si distinguono le Novae classiche e le Novae periodiche.

La Nova classica è un processo in cui una stella inattiva, come una nana bianca costituita da un nucleo di Carbonio e Ossigeno, assorbe (grazie all’elevata gravità superficiale) del materiale come l’Idrogeno dalla stella compagna con la quale costituisce un sistema binario. L’Idrogeno fluisce sotto forma di disco dalla stella secondaria alla nana bianca per poi depositarsi sulla superficie di quest’ultima. L’Idrogeno e anche un po’ di Elio vengono compressi e producono un aumento di temperatura degli strati sottostanti di circa 10 Milioni di Kelvin. Questo dà luogo alla combustione di Idrogeno in Elio nello strato superiore, comportando una repentina reazione nucleare. Le conseguenze di questo processo sono un aumento di luminosità e l’espulsione di materiale che si espande progressivamente nello spazio circostante. Alcune Novae raggiungono velocemente la loro luminosità massima, vi restano per pochi giorni per poi calare di un fattore 10 in circa tre mesi, come è accaduto per la Nova Persei 1901.

GK Persei 1901 – view of the ejecta a century after the nova explosion. Credit: Adam Block/NOAO/AURA/NSF

Queste sono le “Novae veloci”. La luminosità della stella coinvolta può variare da 6 fino a 19 magnitudini rispetto al livello originario. Le “Novae lente” raggiungono il massimo punto di luminosità in un periodo di tempo di qualche settimana o mese, successivamente diminuiscono la propria intensità gradualmente mediante delle fluttuazioni (evidenziando in questo modo un secondo picco di luminosità) per poi ridurla velocemente. La luminosità di queste Novae si riduce di un fattore 10 in circa 150 giorni.

In più alcune Novae lente mostrano una luminosità minima per un periodo compreso tra 2 e 5 mesi: molto probabilmente la condensazione di polveri attorno alla stella prodotti dall’esplosione non permette il passaggio della luce visibile. Il caso più conosciuto è la Nova Herculis 1934.

Vi sono inoltre le “Novae molto lente” che raggiungono un massimo di luminosità in diversi anni per poi diminuire la propria intensità in intervalli di tempo analoghi. Il caso più noto coinvolge RT Serpentis nel 1915 che ha aumentato la propria magnitudine fino ad un valore 10 e rimanendo costante per circa 10 anni. Ha infine raggiunto una magnitudine 14 nel 1942.

Hubble Space Telescope imaged the double-star system T Pyxidis. This high-resolution image shows that the shells are more than 2,000 gaseous blobs packed into an area that is 1 light-year across. Resembling shrapnel from a shotgun blast, the blobs may have been produced by the nova explosion, the subsequent expansion of gaseous debris, or collisions between fast-moving and slow-moving gas from several eruptions. False color has been applied to this image to enhance details in the blobs.

Le Novae periodiche sono simili alle Novae classiche, ma diverse analisi hanno evidenziato un’emissione di energia proveniente dall’esplosione superiore a quella che si osserva visivamente. In genere si ha un aumento di luminosità dalle 4 alle 9 magnitudini e il periodo di tempo dell’esplosione dura decine di anni. Una Nova ricorrente è RS Ophiuchi la quale è esplosa per sei volte in più di un secolo, negli anni 1898, 1933, 1958, 1967, 1985 e 2006. Questa ha aumentato la propria magnitudine da 12.5 a 4.8, raggiungendo il picco massimo in 24 ore per poi diminuire in un centinaio di giorni. RS Ophiuci ha brillato debolmente per circa 700 giorni dopo ogni esplosione.

Sono state classificati due tipi di Novae periodiche: Novae periodiche di Tipo A, ossia improvvisi esplosioni termonucleari che coinvolgono una nana bianca e che vengono osservate per più di una volta; Novae periodiche di Tipo B, dovute principalmente ad un’instabilità ed un’esplosione del disco di accrescimento, tipico delle stelle U Geminorum.

Con questo bagaglio di informazioni sicuramente osserveremo con altri occhi la Nova Delphini 2013 che promette di dare spettacolo ancora a lungo.