Astronomia Siderale, omaggio ad Angelo Secchi – Domenico Licchelli

Copyright © Domenico Licchelli – Progetto Polaris 2014 www.osservatoriofeynman.eu  All right reserved Questo volume rientra nelle iniziative del Progetto Polaris e NON ha carattere commerciale. Qualunque forma di distribuzione deve perciò essere coerente con le modalità e gli obiettivi del progetto riportate nella pagina indicata.

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Questo volume rientra nelle iniziative del Progetto Polaris e NON ha carattere commerciale. Qualunque forma di distribuzione deve perciò essere coerente con le modalità e gli obiettivi del progetto riportate nella pagina indicata.

Dalla prefazione del libro:

Nel 1875 Giovanni Virginio Schiaparelli, uno dei grandi astronomi italiani del passato, nella sua opera “Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele”, così scriveva: “Nel prender a meditare sui monumenti dell’antico sapere, inspiriamoci, o lettore, a quel rispetto ed a quella venerazione che si devono avere per coloro, che, precedendoci in un’ardua strada, ne hanno a noi aperto ed agevolato il cammino. Con questi sentimenti impressi nell’animo ben ci avverrà d’incontrare osservazioni imperfette e speculazioni lontane dalla verità come oggi è conosciuta; ma non troveremo mai nulla né di assurdo, né di ridicolo, nè di ripugnante alle regole del sano ragionare. Se oggi noi, tardi nipoti di quegli illustri maestri, profittando dei loro errori e delle loro scoperte, e salendo in cima all’edifizio da loro elevato, siamo riusciti ad abbracciare collo sguardo un più vasto orizzonte, stolta superbia nostra sarebbe il credere per questo d’aver noi la vista più lunga e più acuta della loro. Tutto il nostro merito sta nell’esser venuti al mondo più tardi.”
Questo testo vuole essere proprio una dimostrazione del rispetto e della venerazione che abbiamo per coloro che, precedendoci, hanno aperto la strada che oggi ci consente di ottenere risultati straordinari, impensabili fino a pochi decenni fa. Le moderne tecnologie, infatti, permettono l’analisi e lo studio di fenomeni complessi e stupefacenti, un tempo appannaggio esclusivo delle grandi strutture di ricerca, anche in piccoli laboratori didattici. Le immagini e gli spettri inseriti nel testo sono stati acquisiti negli anni nei nostri Osservatori astronomici con strumentazione commerciale o auto-costruita. Con un’adeguata preparazione è perfino possibile contribuire direttamente alla ricerca scientifica operando in Osservatori astronomici privati, come nel nostro caso.
Ancora più importante, a nostro avviso, è la valenza didattica insita nel ripercorrere con mezzi moderni le tappe che hanno portato i nostri predecessori a capire le leggi fondamentali della Fisica e delle Scienze tutte.
In questo volume, il nostro “eroe” è Angelo Secchi, gesuita, astronomo, direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano, padre dell’Astrofisica stellare italiana ma non solo. Grazie anche ai suoi studi, la giovane spettroscopia applicata alle stelle divenne la stele di Rosetta che ha permesso poi di decodificare il messaggio nascosto nella luce degli oggetti celesti e di costruire, con cognizione di causa, il modello di Universo così come oggi lo conosciamo. Attraverso le sue parole conosceremo la classificazione in tipi spettrali, i tentativi di interpretazione fisica degli spettri osservati e, soprattutto, diverremo amici di alcune delle stelle più belle ed interessanti del firmamento, ognuna con la sua firma caratteristica ed allo stesso tempo unica così come ce la svelano i nostri strumenti.
Il testo, dopo una presentazione divulgativa dello stato attuale delle conoscenze di base di Fisica stellare, procede alternando le originali osservazioni di Secchi agli spettri moderni. Le corpose citazioni (riportate in corsivo) sono estratte da “Le Stelle: saggio di Astronomia siderale” del 1877, un testo brillante, scritto con uno stile molto divulgativo tale da renderlo, ancora oggi, di gradevolissima lettura, e che racchiude alcune delle conclusioni a cui era giunto Secchi dopo molti anni di intenso lavoro. L’obiettivo non è solo quello di guardare sotto una luce nuova il cielo stellato e la sua bellezza ma anche di acquisire una maggiore consapevolezza del posto che occupiamo nell’Universo attraverso la conoscenza dei suoi costituenti più importanti. E’ anche l’occasione per stimolare la riflessione sugli enormi progressi compiuti dalla scienza astronomica nell’ultimo secolo e un doveroso riconoscimento ai grandi scienziati che con la loro instancabile passione e dedizione li hanno resi possibili………..

Omaggio ad un grande scienziato

L’Astronomia si era sempre esclusivamente occupata fino ad ora della grandezza e distanza degli astri e di alcune poche particolarità fisiche di non molta importanza: il pretendere di conoscere la loro natura materiale e composizione chimica si sarebbe creduto un assurdo; fortunatamente ciò non è più vero, e l’astronomo può analizzare la natura delle materie stellari colla facilità con cui il chimico analizza le sostanze terrestri nel suo laboratorio. Sì grande progresso della scienza è dovuto al piccolo strumento, lo spettroscopio. La luce qual viaggiatrice industriosa è quella che ci reca dalla profondità dello spazio queste preziose notizie…..Il primo che ottenesse uno spettro di stella con vantaggio della scienza fu Fraunhofer. Dopo aver con somma perfezione e delicatezza descritto lo spettro solare, e le numerose sue righe, egli intraprese lo studio di altre luci e tra queste ancor di alcune stelle.”

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Francobollo commemorativo del bicentenario della nascita di Fraunhofer

..Fraunhofer trovò così che la Luna, Venere e Giove avevano spettro identico a quello del Sole, come era da aspettarsi, ma le stelle in generale l’aveano molto diverso..”

Spettro del Sole

Spettro del Sole

Spettro della Luna

Spettro della Luna

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Spettro di Venere

Spettro della Luna e Giove

Oggi con i nostri rivelatori e le nostre tecniche di visualizzazione ed analisi notiamo che è vero che lo spettro della Luna e di Venere nel visibile è sostanzialmente identico a quello del Sole, essendo il risultato della semplice riflessione della luce solare da parte delle superfici planetarie o atmosferiche. Nel caso di Giove, tuttavia, è evidente che allo spettro solare si sovrappongono della bande sfumate dovute all’Ammoniaca (NH3) ed al Metano (CH4) presenti nella sua atmosfera. Seppur individuate già da Secchi, furono associate correttamente a queste molecole solo nel 1930 da R. Wild e V. Slipher.

In Sirio notò una forte riga nera nel verde e due nell’azzurro; e trovò righe simili in alcune altre stelle; ma il sistema di queste righe, la posizione e la qualità trovati in quelle che esaminò, erano diverse assai da quelle del Sole. Senonché la debolezza delle luci era tanta che rendeva assai difficile l’osservazione.

spettro sirio

α Canis Majoris (Sirio)

spettro α Geminorum (Castore)

α Geminorum (Castore)

Riconobbe in Castore la stessa riga del verde che avea trovata in Sirio e vide lo spettro di Polluce solcato di moltissime righe fine tra le quali riconobbe la riga solare D.

spettro β Geminorum (Polluce)

β Geminorum (Polluce)

Nella Capra riconobbe la D e la B del Sole, in α Orione vide pure queste stesse righe e una moltitudine di altre.”

spettro α Aurigae (Capella, Capra)

α Aurigae (Capella, Capra)

spettro Alpha Orionis (Betelgeuse )

Alpha Orionis (Betelgeuse )

Le osservazioni sempre più raffinate di Fraunhofer se da un lato arricchivano il campionario di righe, dall’altro richiedevano una qualche identificazione ed interpretazione. Ma come procedere? La risposta ce la indica lo stesso Secchi:

“….È nota ai nostri lettori l’importanza degli studi spettrali del Sole, mediante i quali si è giunto a riconoscere la natura chimica delle sostanze che trovansi incandescenti nell’astro: uno studio simile dovevasi pertanto eseguire sulle stelle. Due erano le cose principali da investigare: 1) quali fossero le sostanze costitutive delle loro atmosfere incandescenti; 2) se esse atmosfere erano identiche o no in tutte le stelle…

Il primo studio fu per alcune stelle a meraviglia eseguito dai sigg. Huggins e Miller, i quali parte con osservazioni di confronti diretti degli spettri chimici, parte colla comparazione dello spettro solare, vi provarono definitivamente l’esistenza di varie righe solari e quelle di molte sostanze chimiche. Così in Sirio mostrarono che le righe principali erano dell’Idrogeno, e che probabilmente eravi anche il Sodio e il Magnesio. Le nostre osservazioni ci fecero scoprire la quarta riga dell’Idrogeno in allora ancora ignota ai chimici, e misero fuor di dubbio che esse righe erano molto larghe e sfumate. Da principio il celebre sig. Huggins, credette questo dovuto a difetto del nostro strumento, ma ora ha convenuto ancor esso della verità delle sfumature, donde segue che l’Idrogeno ivi trovasi sotto una pressione considerabile. Dalle nostre prime osservazioni fu pure dimostrata in α Orione la presenza dei metalli, Sodio, Ferro, Magnesio, ecc. e due belle tavole diede il sig. Huggins di questa stella e di Aldebaran da noi estese e aumentate. Noi trovammo che l’Idrogeno in α Orione non mancava, ma le sue righe erano confuse nelle grandi zone scure di cui è fornita questa stella, e che l’indebolimento loro poteva provenire dal dare quella stella uno spettro in parte diretto.

Un confronto accurato fatto dello spettro di Arturo e di Aldebaran, di Polluce e della Capra con quello del Sole mediante il prisma obiettivo, ci mostrò più di 60 righe francamente riconoscibili come coincidenti colle metalliche solari, e quindi l’esistenza in quelle stelle del Sodio, del Calcio, del Ferro. Per questa sostanza sono specialmente notabili le righe del verde che ivi formano una numerosa serie di gruppi identici, che costituiscono una bella persiana. Riducendo lo spettro solare a debole intensità, vedemmo risaltare anche meglio l’identità degli spettri stellari e solari in queste stelle. Ma una cosa caratteristica degli spettri stellari è che moltissime stelle oltre le righe fine metalliche danno zone molto fosche come vedesi in α Orione, in β Pegaso, Omicron Balena ecc.

spettro β Pegasi

β Pegasi

spettro Omicron Ceti (Omicron Balena)

Omicron Ceti (Omicron Balena)

Curiosissime oltremodo si mostrano certune come α Ercole, la 12561 di Lalande, ecc. i cui spettri sono fatti a dirittura a colonnato, o piuttosto come un nastro iridato avvolto con successive pieghe cilindriche.

spettro α Herculis

α Herculis

Il fatto più saliente verificato in queste ricerche è stato questo: che mentre le stelle sono numerosissime, pure i loro spettri si riducono a poche forme ben definite e distinte, che per brevità noi chiamammo Tipi. L’esame delle stelle ci ha occupato per parecchi anni: furono esaminate quasi tutte le principali, e moltissime altre; almeno 4000 in tutto, perché oltre alla stella principale si esaminava tutto il suo contorno….

Ecco pertanto le principali conclusioni. Tutti gli spettri stellari, tranne pochissime eccezioni possono ridursi a 4 Tipi principali che sono descritti nelle due tavole cromolitografiche qui inserite.

fonte: Die Sterne, Grundzuge der Astronomie der Fixsterne (1878). Da notare l'ordine invertito con cui era disegnato lo spettro rispetto alla convenzione moderna.

fonte: Die Sterne, Grundzuge der Astronomie der Fixsterne (1878). Da notare l’ordine invertito con cui era disegnato lo spettro rispetto alla convenzione moderna.

1°. Il primo tipo è quello delle stelle bianche o azzurrognole come Sirio, α Lira, β, γ, β, ε, ζ, η dell’Orsa Maggiore, Castore, Markab, α Ofiuco ecc.. Lo spettro di queste è quasi continuo: soltanto esso è solcato da quattro forti righe nere che sono quelle dell’Idrogeno, ma rovesciate secondo il noto principio spettrale dell’assorbimento. Tutte e quattro queste righe possono vedersi nelle più lucide; nelle più deboli non è ordinariamente visibile che la Hβ, ossia la F del Sole, ma in genere questa è molto larga e dilatata e spesso sfumata agli orli, specialmente in Sirio. Questa sfumatura è indizio di elevatissima temperatura e di forte densità dell’atmosfera idrogenica delle stelle di quest’ordine.

spettro sirio

α Canis Majoris (Sirio)

Vi si vedono anche tracce di altre linee come del Magnesio, del Sodio e alcuna del Ferro, ma esse sono debolissime e richiedono aria squisita. A noi però non è mai riuscito di avere queste righe secondarie costantemente nette e precise come in altre stelle di cui facemmo i disegni.

spettro alpha Lyrae (Vega)

α Lyrae (Vega)

In Sirio e in Vega talora esse sono ben distinte, ma per lo più sono appena discernibili anche ad aria ottima; quindi ne segue che queste loro atmosfere sono certamente alquanto variabili. Le figure dello spettro di questa classe che circolano nei libri di spettroscopia carichi di numerose e grosse righe nere, per noi sono assolutamente erronee o almeno esagerate: e sì che non abbiamo risparmiato mezzi di ricerche anche fortissimi. Alcune però di quelle righe possono essere dovute all’assorbimento atmosferico tellurico, poiché in Sirio le abbiamo vedute soventi quando la stella era bassa, ma raramente al meridiano. In α Lira, le abbiamo vedute anche al meridiano (27 giugno 1869).

Che le sfumature delle linee principali dell’Idrogeno nelle stelle grandi fossero reali e non illusione, né difetto di strumento, si provò da ciò che mentre col prisma obiettivo in β Gemelli le sue righe fine erano nettissime, in Sirio e α in Lira erano invece diffuse e larghe in tal grado che non potevano attribuirsi a difetto dello strumento.

spettro β Geminorum (Polluce)

β Geminorum (Polluce)

Molte stelle minori bianche paiono avere spettro continuo e senza righe, ma studiate con cura si trovano di questo tipo colle righe però molto fine. Questa classe è numerosissima e abbraccia più della metà delle stelle visibili.

È bene avvertire che in parecchie di questo tipo, come in Procione, α Aquila, α Vergine ecc. si scorgono molte righe fine abbastanza ben visibili, ai luoghi stessi dove appena si scorge traccia nelle altre: talchè queste sembrano esser casi di transizione da questo tipo al seguente, ma si sa che queste stelle sono leggermente variabili, e per ciò anche il tipo non ha sempre la stessa purezza.

spettro α Canis Minoris (Procione)

α Canis Minoris (Procione)

spettro α Virginis (Spica)

α Virginis (Spica)

2°. Il secondo tipo è quello delle stelle gialle: esse hanno righe finissime; le righe dell’Idrogeno pure vi sono, ma sono sottili e non punto così marcate come nelle precedenti, e lo spettro è perfettamente eguale a quello del Sole; la Capra, Polluce, α Balena, α Orsa Maggiore e molte altre di color giallo sono di questo tipo.

spettro α Orsa Maggiore (Dubhe)

α Orsa Maggiore (Dubhe)

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 Domenico Licchelli, Francesco Strafella, Paolo Cazzato  – 2014

Tsunami sul Ciolo – Domenico Licchelli

Ci sono luoghi che hanno la staordinaria capacità di raccontare storie fantastiche non appena li si guarda sotto la giusta luce e con gli strumenti mentali adatti. Luoghi in cui la bellezza regna sovrana nonostante l’incessante lavorio del tempo. Nel Salento c’è l’imbarazzo della scelta ma per me, non foss’altro che per ragioni biografiche, in cima a tutti c’è il tratto di costa da Novaglie a Leuca. Durante una delle innumerevoli scorribande tardo-adolescenziali su quelle rocce, spesso a strapiombo sul mare, mi imbattei in un posto stranissimo. Rocce bianchissime e levigate, che peraltro avevo già notato in un altro luogo, enormi massi accatastati in maniera caotica ma allo stesso tempo con un ordine sottostante, evidenti anomalie rispetto al quadro geologico circostante. Le mie conoscenze allora erano sostanzialmente scolastiche per cui non ero in grado di formulare nessuna ipotesi attendibile. Da fotografo mi colpì subito la qualità della luce in certi momenti della giornata ma anche la grande difficoltà nel gestirla con le mitiche diapositive Ektachrome che utilizzavo in quel periodo. Era un paradosso incredibile. Finì col considerarlo un piccolo tesoro e come tale da mostrare solo in casi eccezionali.P2020326t

Nessun indizio all’epoca mi faceva supporre che una decina di anni dopo lo studio di quelle rocce carbonatiche, delle retrostanti lagune e dei relativi fossili sarebbe diventata una parte importante della mia ricerca scientifica in ambito planetologico. Centinaia e centinaia di ore trascorse setacciando le rocce palmo a palmo alla ricerca degli indizi più interessanti, accompagnato solo dal sibilo del vento e dal frangersi delle onde su quelle pareti vecchie di milioni di anni.

articolo spettroscopia carbonati marte

articolo spettroscopia carbonati marte

Concentrato ormai sulle barriere coralline fossili, perchè questo è in pratica buona parte di quel tratto di costa, complice anche la grande passione per la biologia marina e la fotografia subacquea, trascurai l’indagine su quello che era diventato una sorta di spettacolare pensatoio dove tornare periodicamente per riordinare le idee.

madrepore fossili

Coralli fossili sulla costa attorno al Ciolo

Colonia di Madreporari (Cladocora caespitosa)

Colonia di Madreporari (Cladocora caespitosa) attuale fotografata a pochi metri di profondità

Un bel giorno però, durante una delle solite ricerche nella letteratura scientifica, mi imbattei in un lavoro pubblicato sulla rivista Quaternary International il cui titolo recitava: Large boulder accumulations by extreme waves along the Adriatic coast of southern Apulia (Italy) di Giuseppe Mastronuzzi e Paolo Sansò. Appena cominciai a leggere l’abstract si accese una lampadina in testa, un Eureka alla Archimede maniera. Recuperai molti altri lavori collegati e li studiai con la crescente consapevolezza che forse avevo imbroccato una strada interessante. E’ una sensazione difficile da spiegare ma è sicuramente uno dei momenti più entusiasmanti per chi si occupa di ricerca scientifica. Alla luce di quello che stavo imparando, il mio posto “strano” diventava improvvisamente chiarissimo da leggere.

Quello che avevo trovato poteva essere la prova evidente che uno tsunami aveva colpito la zona attorno al Ciolo in epoca abbastanza recente. Una scoperta sconvolgente per me perchè era evidente a questo punto che doveva essersi trattato di un evento terrificante.

Ma procediamo con ordine. Come si genera uno tsunami? Tutto parte da un brusco movimento sottomarino della crosta terrestre indotto da un terremoto, da una frana, un’eruzione vulcanica, etc. L’onda che si genera in superficie, inizialmente modesta, inizia a propagarsi con una velocità che al largo, in oceano, può raggiungere i 500-1000km/h. Quando l’onda comincia a sentire il fondo in prossimità della costa, per attrito comincia a rallentare fino a circa 90km/h e ad innalzarsi diventando alta da pochi cm a diverse decine di metri a seconda dell’energia che possiede. Contrariamente alle onde generate dal vento durante le mareggiate, che coinvolgono solo le masse d’acqua superficiali, quelle associate ad uno tsunami possono trasportare una tale quantità di acqua che sono in grado di inoltrarsi nell’entroterra anche per diversi km, con effetti devastanti, come nel caso del recente tsunami dell’11 Marzo 2011 che si è abbattuto sul Giappone.

Ma in Puglia può succedere qualcosa di analogo o comunque di potenza tale da seminare distruzione? La risposta purtroppo è sì, come dimostra la tabella seguente che elenca gli tsunami documentati che hanno colpito la nostra regione negli ultimi 700 anni, tratta dal lavoro riportato in basso a cui rimando per una trattazione più esaustiva.

TSUNAMI-PUGLIA

Evidenziato in rosso c’è il probabile candidato che riguarda il Ciolo, come mi confermò il Prof. Sansò dell’Università del Salento, uno dei maggiori esperti in circolazione sull’argomento, a cui mandai un piccolo reportage fotografico:
Caro Domenico, è probabile si tratti di blocchi trasportati da un maremoto, forse quello del 20 febbraio 1743 che ha prodotto l’accumulo di Torre S.Emiliano. L’epicentro del terremoto è situato 50 km a SE di Otranto per cui non ci sarebbe niente di cui stupirsi: il maremoto avrà sicuramente investito tutta la costa orientale del Salento.
Un caro saluto, Paolo

Il terremoto del 20 febbraio 1743 raggiunse il IX grado della Scala Mercalli e rase al suolo quasi completamente Nardò, Francavilla Fontana e Amaxichi sull’isola di Lefkada, in Grecia. I morti furono diverse centinaia, soprattutto bambini. L’epicentro in mare scatenò almeno due onde di tsunami provenienti da SSE che si abbatterono sulla costa con un run-up, ossia un’altezza massima delle onde, di 11 metri. Blocchi di decine di tonnellate furono letteralmente sradicati dalla zona intertidale (ce n’è uno di più di 70 tonnellate a Torre S.Emiliano), sollevati a parecchi metri di altezza e trasportati verso l’interno, decine di massi accatastati neanche fossero stati di gommapiuma, blocchi levigatissimi che originariamente si trovavano sul fondo del mare ai piedi della falesia, scagliati e riordinati lungo precise direzioni sulla costa. Un’apocalisse che non si trasformò in tragedia solo perchè molto probabilmente all’epoca la zona era disabitata e di difficile accesso (Gagliano del Capo era relativamente lontano e riparato essendo in cima ad una piccola altura).

A questo proposito invito gli storici a spulciare un po’ negli archivi. Potrebbero scoprire qualche testimonianza importante al riguardo.

Le tracce più evidenti si trovano poco prima di raggiungere le Grotte delle Cipolliane seguendo l’omonimo sentiero, ma c’è un secondo ammasso di bianchi massi levigati noto probabilmente a tutti coloro che frequentano la zona della Chiancareddha, di cui adesso conosceranno l’origine.

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Grosso masso accompagnato da una corte di altri più piccoli all’imboccatura di una grotta sommersa

I blocchi qui ripresi sono accatastati appena a sud del Porto Vecchio di Novaglie

Il lento ed inarrestabile arretramento della falesia provoca il distacco ed il crollo di numerose porzioni di parete rocciosa che si accumulano sul fondo del mare al piede della stessa. I blocchi qui ripresi sono accatastati appena a sud del Porto Vecchio di Novaglie

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Munte Lagnune, il nome locale della falesia del Ciolo, visto dalla Chiancareddha. In primo piano i massi strappati dal mare e accatastati sulla costa dalle onde di tsunami

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Giunti a questo punto, proviamo a visualizzare, seppur in maniera molto approssimativa con un fotomontaggio, cosa significherebbe un’onda di tsunami di 10 metri di altezza diretta verso l’insenatura del Ciolo, prendendo come riferimento il ponte che è a circa 25 metri sul livello del mare.

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Per rendere l’idea, immaginiamo che una persona sul ponte si accorga dell’onda che avanza quando è ancora ad 1km di distanza. Supponiamo in prima approssimazione che la velocità sia costante e di 90km/h, cioè 25 metri al secondo. L’onda raggiunge la costa in soli 40 secondi dopo l’avvistamento. Di fatto è fisicamente impossibile attuare qualunque strategia di messa in sicurezza.

Adesso riflettete un attimo. Se nel caso dello tsunami del 1743 alla fine si è ridotto tutto ad una devastazione e ridefinizione di alcuni tratti di costa rocciosa, provate ad immaginare cosa significherebbe un evento di tale portata oggi, soprattutto in estate, quando in prossimità del mare vivono o villeggiano decine, se non centinaia, di migliaia di residenti e turisti. Si potrebbe pensare che con le attuali tecnologie saremmo in grado di gestire una situazione di questo tipo, ma non è così. Nessuno è in grado di prevedere quando ci sarà il prossimo spaventoso terremoto nel Canale d’Otranto in grado di generare uno tsunami. L’unico strumento che abbiamo a disposizione è essere consci del pericolo ed adoperarci per ridurre al minimo i rischi conseguenti.

Domenico Licchelli – 2014

Per saperne di più:

  • Boulder accumulations produced by the 20th of February, 1743 tsunami along the coast of southeastern Salento (Apulia region, Italy) G. Mastronuzzi, C. Pignatelli, P. Sansò, G. Selleri – Marine Geology 242 (2007)

Se una stella muore – Domenico Licchelli

Il cielo è il tuo laboratorio, si dice agli aspiranti astrofisici. Un laboratorio un po’ speciale però, in cui molti fenomeni avvengono quando più gli aggrada, senza alcun preavviso, non sappiamo se confidando nel fatto che, in ogni caso, lì su quell’anonimo pianeta di un’altrettanto anonima stella della Via Lattea ci sarà qualcuno abbastanza attento da notarlo. Fatto sta che, di tanto in tanto, il cielo ci sorprende. Questa volta il regalo è una splendida supernova in una galassia vicina, M82, nell’Orsa Maggiore.

This mosaic image of the magnificent starburst galaxy, Messier 82 (M82

This mosaic image of the magnificent starburst galaxy, Messier 82 (M82) is the sharpest wide-angle view ever obtained of M82. It is a galaxy remarkable for its webs of shredded clouds and flame-like plumes of glowing hydrogen blasting out from its central regions where young stars are being born 10 times faster than they are inside in our Milky Way Galaxy.
Credit: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team STScI/AURA). Acknowledgment: J. Gallagher (University of Wisconsin), M. Mountain (STScI) and P. Puxley (NSF).

Pur essendo sicuramente una delle galassie più fotografate, a quanto pare nessuno si è accorto, per giorni, che tra le sue bande di polvere stava emergendo una nuova stella. Martedì 21 Gennaio alle 19:20 UTC un gruppo di studenti dell’University College di Londra, guidati da Steve Fossey, era impegnato in una sessione osservativa didattica quando ha notato qualcosa di strano in quella galassia. Dopo un rapido controllo delle immagini di archivio, con l’eccitazione ormai a livelli stratosferici, ha diramato un’allerta mondiale per comunicare la scoperta e far osservare con tutti gli strumenti disponibili la nuova stella ospite.

This comparison image shows a supernova suddenly appearing in the nearby galaxy M82.

UCL / Univ. of London Obs. / S. Fossey / B. Cooke / G. Pollack / M. Wilde / T. Wright
This comparison image shows a supernova suddenly appearing in the nearby galaxy M82.

Le supernovae, questo il nome delle stelle che esplodono con una tale violenza da diventare perfino più luminose dell’intera galassia che le ospita, rappresentano una sorta di sacro Graal per gli astrofisici ed in special modo per i cosmologi. Proprio studiando le supernovae di tipo Ia, come questa in M82, si è avuto la conferma che l’Universo non solo si sta espandenso ma sta addirittura accelerando. Essendo fenomeni relativamente rari, in particolare in galassie vicine, ci si spiega facilmente questa sorta di chiamata alle armi generale. E’ uno di quei casi in cui ogni nuova misura è importante, sia per confermare i modelli interpretativi che sono stati elaborati finora, sia per conoscere più in dettaglio e con maggior precisione i meccanismi e i processi in atto in tutte le loro fasi. Inoltre, questa supernova ha almeno quattro punti di forza in più:

  1. è in una galassia lontana appena 12 milioni di anni-luce e di conseguenza è abbastanza luminosa e relativamente facile da osservare perfino con piccoli telescopi
  2. il suo spettro è fortemente arrossato segno che la sua luce deve attraversare dense nubi di polvere galattica prima di giungere a noi. Studiarlo in dettaglio permetterà di capire meglio come avviene l’estinzione della radiazione luminosa, fatto di vitale importanza per calibrare correttamente la distanza di analoghe supernovae dell’universo lontano
  3. dai confronti con altri spettri d’archivio sembrerebbe che sia ancora nella fase di salita verso il massimo di luminosità che dovrebbe raggiungere entro le prossime due settimane
  4. ci ha fatto il grande piacere di esplodere quando la galassia inizia la sua fase di migliore osservabilità (in realtà è esplosa 12 milioni di anni fa ma la sua luce ci è arrivata solo adesso), per cui è possibile seguirla per parecchie ore di seguito in ogni notte serena.
This comparison image shows a supernova suddenly appearing in the nearby galaxy M82. BLOCK

Keep in mind this image is stretched in its brightness; the supernova is considerably brighter than any part of the galaxy and as it brightens it may outshine billions of stars in M82.
Adam Block/Mount Lemmon SkyCenter/University of Arizona

This is a Hubble Space Telescope composite image of a supernova explosion designated SN 2014J in the galaxy M82. At a distance of approximately 11.5 million light-years from Earth it is the closest supernova of its type discovered in the past few decades. The explosion is categorized as a Type Ia supernova, which is theorized to be triggered in binary systems consisting of a white dwarf and another star — which could be a second white dwarf, a star like our Sun, or a giant star.

This is a Hubble Space Telescope composite image of a supernova explosion designated SN 2014J in the galaxy M82. At a distance of approximately 11.5 million light-years from Earth it is the closest supernova of its type discovered in the past few decades. The explosion is categorized as a Type Ia supernova, which is theorized to be triggered in binary systems consisting of a white dwarf and another star — which could be a second white dwarf, a star like our Sun, or a giant star.

Naturalmente la febbre da supernova ha contagiato anche me. Combattendo con le nuvole in transito e con un seeing abbastanza pietoso, la notte scorsa ho acquisito uno spettro che mostra chiaramente le principali caratteristiche fisiche già riscontrate nelle riprese dei grandi osservatori professionali, l’evidente arrossamento, la profonda banda dell’SiII da cui è stato possibile ricavare una velocità di espansione di circa 12000km/s, e la netta riga di assorbimento del Sodio neutro, di probabile origine interstellare.

SPETTRO TYPE-IA-SUPERNOVA-2014J-IN-M82

Le analisi degli spettri e i modelli teorici insegnano molto. Si deduce che l’esplosione di supernova dà il via ad una furiosa nucleosintesi con la combustione dell’Ossigeno e del Silicio che produce, per esempio, il Calcio delle nostre ossa, il Ferro nel nostro sangue, il Titanio, il Cromo, il Vanadio e via discorrendo. Questo miscuglio di elementi pesanti viene poi scagliato nello spazio insieme agli altri elementi chimici già creati pazientemente dalla stella progenitrice per milioni di anni. La morte della stella, lungi dall’essere la fine della storia, diventa invece la sorgente primaria degli elementi chimici più complessi che inseminerà, letteralmente, lo spazio circostante. Quel materiale prima o poi si addenserà nuovamente per creare una nuova stella con la sua corte di pianeti, su cui può accadere che compaiano forme di vita più o meno evolute ed intelligenti.

This Chandra image of the Tycho contains new evidence for what triggered the original supernova explosion.

This image of Tycho’s supernova remnant contains striking evidence for what triggered the original supernova explosion, as seen from Earth in 1572. Tycho was formed by a Type Ia supernova, a category of stellar explosion used in measuring astronomical distances because of their reliable brightness. Low and medium energy X-rays in red and green show expanding debris from the supernova explosion. High energy X-rays in blue reveal the blast wave, a shell of extremely energetic electrons. Also shown in the lower left region of Tycho is a blue arc of X-ray emission. Several lines of evidence support the conclusion that this arc is due to a shock wave created when a white dwarf exploded and blew material off the surface of a nearby companion star.
Credit: NASA/CXC/Chinese Academy of Sciences/F. Lu et al

Adesso capite il nostro accanimento. Siamo figli delle supernovae. Studiare la loro morte in realtà serve a farci capire qualcosa di più della nostra nascita.

Domenico Licchelli – 2014

Un uragano in una bolla di sapone – Domenico Licchelli

Si dice che gli scienziati siano in realtà degli adulti che hanno conservato la curiosità e la meraviglia dei bambini. Non ci credete? Ecco un esempio. Alzi la mano chi non ha giocato almeno una volta con le bolle di sapone.

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Le spettacolari iridescenze sulla superficie e la vita effimera che le contraddistinguono sono un’attrazione a cui è difficile resistere, a prescindere dalla propria età anagrafica. Sicuramente meno noto è che fior di matematici e fisici le hanno studiate e continuano a farlo, per comprendere a fondo alcuni fenomeni molto complessi riguardanti la topologia, la teoria del caos, la teoria delle variazioni etc. Lord Kelvin si spinse a dire: “Fate una bolla di sapone e osservatela: potreste passare tutta la vita a studiarla”. Esagerato? Non proprio. Pensate, per esempio, ad una caratteristica evidente delle bolle, cioè il fatto di avere una forma perfettamente sferica. Beh non è un caso. La sfera è, in effetti, la superficie minima che racchiude un determinato volume, così come la circonferenza è la curva chiusa di lunghezza minore se paragonata al perimetro di un qualunque poligono avente la stessa area del cerchio racchiuso. E che dire poi degli spettacolari colori che si osservano sulla superficie delle bolle, sempre cangianti e in movimento, prodotti dalla riflessione e dall’interferenza della luce con la sottile parete di acqua saponata. Da tempo i fisici dell’atmosfera hanno anche notato sorprendenti analogie tra questi fenomeni e il comportamento delle correnti convettive atmosferiche. Adesso un gruppo di ricercatori capitanati da T. Meuel dell’Università di Bordeaux, ha realizzato un esperimento utilizzando una semibolla posizionata su un dispositivo in grado di riscaldarla dal basso e di metterla in rotazione.

In pochissimo tempo si è generato un vortice che ha immediatamente mostrato comportamenti simili ai grandi vortici planetari, si pensi alla Grande Macchia Rossa gioviana, ma anche agli uragani terrestri che sono parenti prossimi seppur su scala enormemente inferiore.

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Visualization of hurricane Floyd approaching the coast of Florida.
Data from the NOAA GOES satellite. Images produced by Hal Pierce.

Per esempio, si è visto che i vortici aumentano di intensità fino ad un valore massimo per poi iniziare a decadere, similmente a quanto avviene alle tempeste tropicali (TC).

Per passare poi da un’analisi qualitativa ad una quantitativa hanno elaborato un modello matematico che, seppur relativamente semplice, si è dimostrato in grado di riprodurre in maniera molto interessante il comportamento di 171 TC del Pacifico e dell’Atlantico.

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(d) Image of the full bubble with a vortex being formed by a large thermal plume. (e) A zoom on the vortex, the colors are interference colors of white light being reflected by the thin water layer constituting the bubble.

Restano ancora da capire molti dettagli ma è un significativo passo avanti nella direzione di predire con sufficiente precisione il percorso e l’intensità degli uragani che, nonostante gli enormi progressi compiuti negli ultimi anni, rimane ancora un obiettivo da raggiungere. Il tutto giocando con una bolla di sapone.

Dobbiamo anche confidare un poco in ciò che Galileo chiamava la cortesia della Natura, in grazia della quale talvolta da parte inaspettata sorge un raggio di luce ad illuminare argomenti prima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni […]. Speriamo adunque. E studiamo.”  G. V. Schiaparelli, in Il pianeta Marte, 1893

Domenico Licchelli – 2014

Per saperne di più:

  • Intensity of vortices: from soap bubbles to hurricanes – T. Meuel et al. SCIENTIFIC REPORTS | 3 : 3455
  • Michele Emmer, Bolle di sapone: tra arte e matematica, Bollati Boringhieri, 2009