La Via Lattea: la nostra isola nell’Universo – Anna Galiano

Estate è sinonimo di serate all’aperto, di chiacchiere con gli amici e, per gli appassionati di Astronomia, di caccia al tesoro celeste lungo la Via Lattea. Il Sistema Solare fa parte di un grande ammasso di stelle, materiale interstellare e polveri, noto come galassia, che nel nostro caso specifico è, appunto, la Via Lattea. Questa è una galassia a spirale barrata con un diametro maggiore di 100000 a.l. (anni luce); il Sole con i pianeti che gli ruotano attorno, è localizzato in uno dei suoi bracci. La Via Lattea attraversa il nostro cielo notturno come una banda biancastra, poiché le stelle che la compongono le conferiscono la debole nebulosità che ha dato origine al suo nome. Con una estensione di circa 30° nella nostra sfera celeste, la debole luce della Via Lattea può venire facilmente mascherata dall’inquinamento luminoso o dalla luce della Luna. Vi sono, inoltre, alcune zone scure all’interno della banda dovute alla presenza di materiale interstellare che blocca la radiazione luminosa proveniente dalle sorgenti luminose retrostanti.

Via Lattea estivaLa conferma che la nostra galassia è composta da stelle si è avuta nel 1610 quando Galileo Galilei puntò il proprio telescopio e scoprì che l’aspetto nebuloso era in realtà prodotto da una moltitudine di astri molto vicini tra loro, ben al di sotto del potere risolutivo dell’occhio nudo. Indagini moderne stimano la presenza di un numero compreso tra 100 e 400 miliardi di stelle al suo interno. Agli inizi del XX secolo le osservazioni condotte dall’astronomo e astrofisico statunitense Edwin Hubble hanno dimostrato che la Via Lattea è solo una delle tante galassie presenti nell’Universo.

La reale struttura della nostra galassia è ancora oggetto di discussione. Si è certi che questa sia una galassia con un nucleo barrato dalla quale si dipartono dei bracci a spirale logaritmica che racchiudono gas, polveri e stelle, dando origine, così, al disco galattico ed in particolare alla regione denominata thin disk, laddove avvengono i maggior processi di formazione stellare. Nella parte centrale del disco vi è il centro galattico, formato da una gran quantità di vecchie stelle disposte in maniera sferoidale, le quali generano una protuberanza (bulge). Visto dalla Terra il centro galattico, che risulta essere la regione più luminosa della Via Lattea, si trova in corrispondenza della costellazione del Sagittario, in prossimità della sorgente denominata Sagittarius A* caratterizzata da una forte emissione radio. Il moto dei corpi attorno ad essa tradisce la sua natura di oggetto compatto ma con una massa di 4.1-4.5 milioni di volte la massa del Sole, ossia un buco nero supermassivo. L’anticentro galattico, la parte opposta al centro galattico, si trova nella costellazione dell’Auriga.

Gli studi per comprendere la struttura della Via Lattea iniziarono negli anni ‘50 tramite l’indagine spettrale di alcune stelle di tipo O e B (stelle con elevate temperature superficiali) presenti nei bracci a spirale di alcune galassie esterne. I risultati maggiormente soddisfacenti si sono ottenuti però, con le osservazioni nella banda radio. Il mezzo interstellare presente nella nostra galassia è prevalentemente costituito da Idrogeno allo stato neutro, otticamente non osservabile, ma visibile nel radio. Lo stato neutro dell’Idrogeno corrisponde ad un protone e ad un elettrone che occupa lo stato più basso in energia corrispondente al livello 1s. Dall’interazione tra lo spin dell’elettrone e quello del protone tale livello 1s si sdoppia in due sottolivelli: quello con energia maggiore è descritto da elettrone e protone avente lo spin nello stesso verso (Spin totale pari a 1), quello con energia inferiore presenta elettrone e protone con spin opposto (Spin totale nullo). L’elettrone transitando dal livello con energia maggiore a quello con energia minore emette un quanto di energia (fotone) alla lunghezza d’onda pari a 21 cm. Questo è ciò che fu osservato dai radiotelescopi, permettendo così di evidenziare la presenza di Idrogeno e mappare la struttura della nostra galassia. Questa transizione è molto rara, ma essendo lo spazio interstellare costituito da una gran quantità di atomi di Idrogeno, tale riga è facilmente osservabile. La riga di emissione a 21 cm dell’Idrogeno ha permesso di identificare i due bracci principali che costituiscono la Via Lattea: il Braccio di Perseo e il Braccio Scudo-Centauro. Vi sono dei bracci complementari, come il Braccio del Cigno (parte esterna del Norma Arm) e il Braccio del Sagittario ed alcuni secondari, come Carina, e il Braccio di Orione, sede oltre che della Nebulosa di Orione da cui prende il nome, anche del Sistema Solare, il quale giace nella parte interna del braccio ad una distanza di circa 30000 a.l. dal centro galattico.

Dal confronto tra i risultati ottenuti nel campo ottico (utilizzando gli ammassi aperti di giovani stelle che ben descrivono la struttura esterna dei bracci di una galassia a spirale) e quelli acquisiti nell’indagine nelle onde radio (tramite addensamenti di gas molecolare CO, composto da Carbonio e Ossigeno) si è analizzato il Braccio del Cigno e il Braccio di Perseo. Il primo è ben tracciato sia dalle componenti stellari che dagli addensamenti di CO, mentre il Braccio di Perseo è individuato solo dalle componenti CO. La mancanza di tracce stellari nella parte esterna del Braccio di Perseo indica che il braccio Locale, ossia il Braccio di Orione lo stia lentamente perturbando. Si è inoltre notato, in un primo momento, che lungo il piano galattico, ad una distanza di circa 45000 a.l. dal centro galattico, in direzione dell’anticentro, la densità di materiale termina quasi bruscamente. In realtà, osservazioni più dettagliate hanno evidenziato che questa interruzione la si nota in tutte le direzioni; probabilmente tale comportamento è dovuto ad una deformazione del disco galattico. L’assenza di materiale a quelle distanze è solo un’illusione, poiché il disco galattico a circa 43000- 49000 a.l. subisce una deformazione verso il basso. Pertanto per osservare il prolungamento della galassia bisogna considerare latitudini inferiori a 0° rispetto all’equatore galattico. Inoltre, a distanza di circa 65000 a.l. dal centro galattico, sono state osservate stelle giovani, suggerendo che tale zona è una regione attiva di formazione stellare, tutt’altro che priva di materiale.

Gli ultimi risultati, in conclusione, suggeriscono che la nostra galassia abbia in realtà un diametro maggiore di quello sinora conosciuto, circa 130000 a.l..NGC6744Il disco galattico è circondato da astri e ammassi globulari che si estendono per centinaia di migliaia di anni-luce secondo una disposizione sferica, generando l’alone galattico. Il Chandra X-ray Observatory ha dimostrato che nell’alone galattico vi è una grande quantità di gas caldo con temperature comprese tra 1 milione e 2.2 milioni di gradi Kelvin e una massa confrontabile con la massa delle stelle nella galassia.

Una simulazione al computer molto dettagliata realizzata nel 2011 fornisce una spiegazione soddisfacente sulla struttura a spirale della Via Lattea, che sarebbe prodotta principalmente dall’interazione gravitazionale con la vicina Galassia  Ellittica Nana del Sagittario, che pian piano è distrutta ed assorbita dalla nostra galassia.

La Via Lattea, la Galassia di Andromeda, di cui ci occuperemo in un secondo momento data la sua importanza, e altre 70 galassie circa, formano il Gruppo Locale, che insieme ad altri 5 gruppi di galassie, appartiene all’Ammasso della Vergine, componente di una struttura ancora più complessa ed estesa, nota come Superammasso della Vergine. Attorno alla Via Lattea ruotano due galassie più piccole e delle galassie nane, tra le quali la Grande e la Piccola Nube di Magellano. Nell’Universo locale vi sono delle galassie simili alla Via Lattea, ma ce n’è una in particolare con la quale mostra più di un elemento in comune, NGC 6744 nella costellazione del Pavone a circa 30 milioni di a.l. di distanza. La galassia NGC 6744 ha la stessa struttura a spirale, con un diametro pari a 175000 a.l.. Inoltre, una galassia più piccola, NGC 6744A, confrontabile con la Grande Nube di Magellano, le ruota attorno. Per queste somiglianze la galassia a spirale NGC 6744 viene vista come un “fratello maggiore della Via Lattea”,  il “Big brother to the Milky Way”.    

La costellazione del Cigno – Anna Galiano

Una tra le costellazioni facilmente riconoscibili e dominanti nelle notti estive boreali è la costellazione del Cigno. Come suggerisce il nome, si presenta come un cigno ad ali spiegate che sovrasta uno sfondo costellato da molte deboli stelle della Via Lattea, osservabili in assenza di inquinamento luminoso.
Una parte della costellazione, formata dalla coda e dall’ala occidentale è circumpolare, mentre diviene completamente visibile da giugno (a Nord-Est) a novembre (a Nord-Ovest).
Via Lattea nel CignoIl corpo principale del Cigno è formato da cinque stelle di luminosità intensa, che conferiscono a questa costellazione il nome alternativo di “Croce del Nord”, in opposizione alla “Croce del Sud” visibile nell’emisfero australe.
La coda del Cigno è individuata dalla stella più luminosa della costellazione, Deneb (α Cygni), di magnitudine 1.25 e distante da noi 3000 anni luce. Deneb, insieme con i due astri più brillanti delle costellazioni dell’Aquila e della Lira, rispettivamente Altair e Vega formano un asterismo conosciuto come “Triangolo estivo”, il secondo dopo il “Grande Carro” a venir usato come orientamento nel cielo.

L’ala occidentale della costellazione è individuata da Ruch (δ Cygni), una stella tripla dalla magnitudine complessiva di 2.9, mentre nell’ala orientale si trova Gienah (ε Cygni), una stella gigante di magnitudine 2.45. Le due ali si uniscono su Sadr (ɣ Cygni), un’enorme stella con un raggio di circa 150 volte quello del Sole.
La testa del Cigno è sormontata da Albireo (β Cygni), una tra le stelle doppie più note, con una magnitudine complessiva di 3.35. I due astri, la cui separazione angolare è di 35’’, hanno colori differenti e questo permette di distinguerli anche con telescopi di ridotta risoluzione: la stella primaria ha un colore arancio mentre la secondaria è bianco-azzurra.
Un’altra stella degna di nota è 61 Cygni, distante 11 anni luce: è stata la prima stella doppia di cui è stata calcolata la distanza dalla terra con una buona precisione, avvenuta ad opera di Bessel nel 1838.
Vi è poi 16 Cygni, un sistema stellare triplo composto da due stelle simili al Sole, delle nane gialle (16 Cygni A e 16 Cygni B) e da una nana rossa (16 Cygni C). E’ stato scoperto un pianeta extrasolare orbitante attorno a 16 Cygni B con una massa pari a 1.5 volte quella di Giove.
Poiché questa costellazione giace sulla Via Lattea, racchiude altri affascinanti e misteriosi oggetti celesti:

  • nebulose, tra cui la NGC 6888 (Nebulosa Crescente), NGC 6960 (Nebulosa Velo) e NGC 7000 (Nebulosa Nord America), distante 3° da Deneb e con una luminosità molto tenue;
  • ammassi aperti, come M29 e M39;
  • Cygnus X-1, una sorgente continua di raggi X scoperta negli anni ’70. Tra le varie ipotesi vi è quella che sostiene la presenza di un buco nero nel suo centro.

Vi è una regione oscura che da Deneb si estende parallelamente lungo il corpo del Cigno, nota come “Fenditura del Cigno” (Cygnus Rift). Questa è la conseguenza della presenza di materiale interstellare, come polveri e gas, che assorbono la radiazione luminosa proveniente dalle stelle restrostanti.
Il nome della costellazione è legato alla mitologia greca, più precisamente al mito di Zeus e Leda. Una di queste versioni narra che il re degli dei, invaghitosi di Leda, moglie del re di Sparta Tindareo, volle vincere le resistenze della donna trasformandosi in cigno. Da quell’unione Leda partorì Castore e Polluce, Clitemnestra ed Elena. Castore e Polluce sono le stelle principali della costellazione dei Gemelli di cui ci occuperemo in futuro.
Per visualizzare le mappe e trovare gli oggetti celesti consigliati è opportuno dotarsi di un planetario software come Stellarium

La costellazione della Lira – Giulia Alemanno

La Lira è una piccola ma molto interessante costellazione boreale situata tra Ercole e il Cigno. Nelle notti d’estate è semplice individuare questa costellazione dal momento che Vega, la sua stella più brillante, è quasi allo Zenit e costituisce il vertice nord- occidentale del Triangolo Estivo, un famoso asterismo che nell’emisfero boreale appare appena dopo il tramonto da Giugno ed è visibile fino ai primi giorni di Gennaio. Le altre due stelle del Triangolo Estivo sono Altair, stella a della costellazione dell’Aquila, e Deneb, la stella più brillante della costellazione del Cigno.
Triangolo EstivoVega, anche chiamata a Lyrae, è la quinta stella in splendore di tutto il cielo, la seconda se si considera soltanto l’emisfero boreale celeste. Si tratta di una stella bianca con una massa pari a due masse solari e una luminosità 37 volte maggiore rispetto a quella del Sole. Ha una temperatura superficiale di circa 10000 gradi Kelvin ed è definita dagli astronomi “la stella più importante nel cielo dopo il Sole”. Il suo carattere di stabilità ha fatto sì che essa venisse assunta come modello di riferimento per la misura di alcuni parametri caratteristici delle stelle come ad esempio la magnitudine (splendore della stella). A Vega è stata pertanto assegnata una magnitudine di ordine 0. Essa appartiene alla classe spettrale A0. Le stelle, infatti, vengono classificate in base all’analisi del loro spettro, ovvero della distribuzione energetica della radiazione emessa dalla stella. La classe spettrale è assegnata in ultima analisi sulla base delle caratteristiche prodotte dalla sua temperatura superficiale. Per saperne di più visitate l’Astro-Percorso a tema.

Vega, nonostante le sue regolarità, ha riservato delle straordinarie sorprese. Nel 1983, grazie alle osservazioni compiute dal satellite IRAS (Infrared Astronomical Satellite) a lunghezze d’onda comprese tra 12 e 100 μm, si scoprì che Vega emette nell’infrarosso molto più di quanto ci si aspettasse. Questo fenomeno fu interpretato come conseguenza della presenza di una nebulosa protoplanetaria nell’intorno della stella, ovvero di un corpo più freddo ma anche molto più esteso della stella stessa che veniva in qualche modo riscaldato dalla radiazione da essa emessa.
Infine, un’altra caratteristica che rende affascinante la storia di questa stella è che essa, a causa del moto di precessione dell’asse terrestre, indicherà la direzione del nostro Nord tra circa 13700 anni. Infatti, per effetto del moto conico dell’asse terrestre, la posizione del Polo Nord non è stata e non sarà sempre indicata dalla Stella Polare. Tra circa 5000 anni toccherà alla stella a Cephei, tra 13700 anni circa a Vega, per poi tornare a coincidere con la Stella Polare solo tra 25700 anni circa.
costellazione lyraLe altre stelle principali della costellazione della Lira sono:

– β Lyrae (anche detta Sheliak in arabo che significa arpa), la seconda in splendore della costellazione, è una stella di classe spettrale B7, della quale Margherita Hack ha scritto: “Una mia vecchia conoscenza che ho potuto studiare a lungo utilizzando i primi satelliti in grado di dare spettri stellari nell’ultravioletto, ed è stata una delle prime a dare delle sorprese inaspettate”.
Prima degli studi nell’ultravioletto si sapeva che β Lyrae era una stella doppia, appartenente alla categoria delle binarie ad eclisse, coppie di stelle il cui piano orbitale contiene la nostra visuale. Ogni volta che le due stelle vengono a trovarsi allineate con l’osservatore una stella eclissa l’altra. Dallo studio delle eclissi si possono ricavare informazioni sui raggi e sulle luminosità relative delle due stelle. Nel caso di β Lyrae, le due stelle si eclissano ogni 12,9 giorni, ma si riusciva a osservare una sola stella dalla temperatura di circa 13000 gradi. Studiando il moto orbitale della stella visibile, si scoprì che essa ha una massa pari a circa 3 masse solari, mentre l’altro oggetto del sistema ha una massa pari a 13 masse solari. Quindi contrariamente a quanto accade per le stelle “normali”, è la stella più piccola ad essere la più luminosa.
La serie di osservazioni di Beta Lyrae, protrattesi dal 1973 fino alla fine degli anni Settanta, sono state un esempio di esaltante collaborazione internazionale, di utilizzo di vari tipi di satelliti americani e europei, di simultanee osservazioni dello stesso oggetto dai telescopi a Terra, di scambi di idee e di risultati delle misure tramite telefono e posta, in un’epoca in cui non c’era ancora la posta elettronica, e i nastri magnetici su cui erano registrate le osservazioni dallo spazio viaggiavano da est ad ovest e da ovest ad est in aereo.” (Hack, 2010). – RR Lyrae è una stella variabile pulsante che ha dato il suo nome ad un’intera classe di stelle, le Variabili RR Lyrae. Si tratta di variabili regolari che passano da un massimo ad un minimo splendore in un periodo costante, minore di un giorno (Hack, 2011).

– RR Lyrae al suo massimo è appena oltre la visibilità ad occhio nudo (magnitudine 7.1). Le RR Lyrae appartengono tutte alla stessa classe spettrale A0 ed hanno una temperatura superficiale di 10000 gradi kelvin. Il tipo spettrale si sposta verso F, G o K all’aumentare dello splendore e della lunghezza del periodo. Queste variabili sono chiamate pulsanti poiché la variazione di luminosità è prodotta da oscillazioni delle parti più esterne della stella, associate a variazioni della sua temperatura superficiale.
Anche dette variabili degli ammassi globulari, queste stelle presentano tutte lo stesso splendore intrinseco pari a 100 volte quello del Sole. Questo è il motivo per il quale esse sono utilizzate per determinare la distanza tra noi e l’ammasso in cui si trovano. Lo splendore intrinseco è quello splendore che avrebbero tutte le stelle se fossero alla stessa distanza noi, assunta convenzionalmente pari a 32,6 anni luce. Dalla misura dello splendore apparente è possibile determinare la distanza sapendo che il rapporto tra splendore apparente e assoluto è pari al quadrato di tale distanza diviso 32,6.
Harlow Shapley (1885 – 1972), alla fine degli anni venti riuscì a determinare la posizione del Sole all’interno della Galassia proprio grazie allo studio degli ammassi globulari. Shapley notò che si osservava un maggior numero di ammassi nella direzione della costellazione del Sagittario. Da ciò dedusse che il centro galattico doveva trovarsi in quella regione e utilizzò poi le variabili RR Lyrae per misurarne la distanza. Ottenne un valore pari circa a 50000 anni luce, di gran lunga maggiore al valore oggi comunemente accettato, compreso tra 25000 e 27000 anni luce. Tale sovrastima è dovuta alla presenza delle polveri interstellari, scoperte nel 1930, che assorbendo la luce stellare fanno apparire le stelle più deboli e quindi più lontane di quanto siano realmente.

– γ Lyrae è una stella multipla, la principale ha un colore azzurro, una magnitudine apparente di 3,24 ed appartiene alla classe spettrale B9. Si tratta di una stella gigante che ha esaurito l’idrogeno nel suo nucleo uscendo così dalla sequenza principale, una banda continua di stelle che appare nel diagramma di Hertzsprung-Russell. Si tratta una rappresentazione grafica che mette in relazione la temperatura effettiva (in ascissa) e la luminosità (in ordinata) delle stelle. γ Lyrae viene anche chiamata con Sulafat, nome di origne araba che vuol dire “tartaruga” in riferimento all’origine leggendaria della Lira. Secondo la mitologia greca, infatti, la Lira era lo strumento musicale di Orfeo, creato da Mercurio, figlio di Giove e di Maia, una delle sette Pleiadi. La leggenda racconta che Mercurio creò la Lira utilizzando come cassa armonica il guscio di una tartaruga ai cui bordi tese sette cordicelle. La musica divina di questo strumento permise a Mercurio di rubare cinquanta mucche di Apollo. Questi, una volta scoperto il furto e con esso il responsabile, decise di punire Mercurio. Il piccolo capì il pericolo e iniziò a suonare la Lira. La musica divina estasiò a tal punto Apollo da convincerlo a lasciar andare Mercurio facendosi consegnare in cambio la Lira stessa.
Apollo donò la Lira a Orfeo e da quel momento egli accompagnò tutti i suoi versi con il meraviglioso strumento ricevuto in dono.
Purtroppo però, la storia non finisce qui, perché quando Orfeo sposò Euridice iniziò la tragedia. La bella Euridice per sfuggire da Aristeo, un suo ammiratore, venne morsa da un serpente il cui veleno la condusse alla morte. Orfeo disperato scese negli inferi chiedendo a Proserpina, regina del regno dei morti, di poter riavere Euridice. La musica e i dolci versi convinsero Proserpina, la quale però impose una condizione: nel ritorno dagli inferi Orfeo doveva precedere la sua amata senza mai voltarsi a guardarla. I due amanti erano quasi giunti all’uscita degli inferi quando Orfeo si voltò e Euridice venne risucchiata nel regno dei morti. Orfeo disperato iniziò a vagare senza una meta e declinò molte proposte da parte di altre belle ragazze, le quali offese dal suo rifiuto decisero di ucciderlo. Solo allora Orfeo poté riunirsi alla sua amata, mentre le Muse disponevano la sua Lira in cielo.

– δ Lyrae è una binaria spettroscopica, formata da una stella blu-bianca di sesta magnitudine e una gigante rossa semiregolare la cui magnitudine varia tra 4 e 5. Una binaria spettroscopica è una stella binaria che non può essere risolta in maniera visuale, neanche utilizzando i telescopi più potenti. Questo avviene o perché le stelle sono molto vicine tra di loro o perché sono molto distanti da noi. Ciò che ci permette di risolvere le due stelle è l’analisi dello spettro che mostra chiaramente lo sdoppiamento e lo spostamento periodico delle righe spettrali.

– ε Lyrae è la famosa “doppia – doppia”. Utilizzando anche un piccolo binocolo è possibile distinguere due stelle azzurre. Attraverso strumenti più potenti si nota poi che ognuna di queste stelline è formata in realtà da due stelle.

Un altro oggetto caratteristico della costellazione della Lira è la Ring Nebula, la nebulosa ad anello classificata come M57 nel catalogo Messier. M57Questa nebulosa è il risultato dell’evoluzione di una stella quasi simile al Sole. Osservare questa nebulosa è un po’ come guardare nel futuro della nostra stella perché essa mostra come diventerà il Sole tra circa 5 miliardi di anni, dopo la fase di gigante rossa; al centro di una nube di gas e polveri rimane una stellina piccola e molto calda detta nana bianca. Le nane bianche rappresentano l’ultima fase dell’evoluzione di stelle piccole o medio-piccole, come il nostro Sole. Queste stelle dopo aver concluso la fase di equilibrio, caratterizzata dal processo di fusione di idrogeno in elio, attraversano una fase di instabilità durante la quale gli strati più esterni della stella, riscaldati dall’energia prodotta dalle nuove reazioni di fusione, si espandono. L’involucro esterno della stella si dilata ma nello stesso tempo si raffredda portando la stella ad assumere dimensioni molto più grandi e diventare così una gigante rossa. Quando le reazioni nucleari si arrestano definitivamente, il nucleo non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che provoca il collasso della stella. Quest’ultima perde gran parte della sua massa e si trasforma in nana bianca, un corpo piccolo (il diametro delle nane bianche è paragonabile a quello della Terra) ma molto denso. La materia all’interno della nana bianca è in uno stato degenere: gli elettroni sono separati dai nuclei ma si dispongono intorno ad essi in modo tale da impedire un ulteriore collasso. La nana bianca, non potendo contrarsi ulteriormente si raffredda lentamente e si trasforma così in una nana nera, densa e oscura, non più visibile.

De Stella Nova (alias Nova Delphini 2013) – Anna Galiano

Una sera d’estate, passeggiando in riva al mare, alzate lo sguardo, come al solito, verso la Via Lattea. Le nubi di polvere e le pallide distese stellari ne tracciano il profilo consueto ma ad un certo punto notate una stella in una posizione in cui fino alla sera prima non c’era niente. In epoca di connessione in rete perenne ci vuol poco per recuperare da internet un’immagine di archivio di quella regione celeste e, con grande sorpresa, scoprire che effettivamente la stella che brilla sotto i vostri occhi è una stella ospite, una Nova, come la definirono gli antichi. Potrebbe trattarsi anche di una Supernova ma non potete stabilirlo semplicemente ad occhio nudo. La probabilità che si verifichi un evento del genere è piuttosto bassa ma non nulla, data l’agguerritissima concorrenza di survey automatiche e cacciatori di Novae che scandagliano il cielo in ogni notte serena.

nova delphiniQuello che si può certamente fare con successo è gustarsi una recentissima scoperta che sta impreziosendo ulteriormente il nostro cielo, la Nova Delphini 2013.

Contrariamente a quanto farebbe supporre il nome, una Nova non è realmente una nuova stella, ma il risultato di un’esplosione che rende visibile un astro altrimenti troppo debole per essere percepito perfino con i telescopi di piccola apertura. Il fenomeno “nova” è in effetti una potente esplosione nucleare che comporta un repentino aumento della luminosità della stella di circa un milione di volte e che riguarda una nana bianca che fa parte di un sistema binario la cui secondaria è una nana rossa o arancione e più raramente una gigante.

Differentemente dall’esplosione di Supernova, processo che avviene una sola volta e che distrugge completamente la stella coinvolta, quello di una Nova riguarda gli strati esterni, per cui la stella rimane sostanzialmente integra, tanto che il processo può anche ripetersi in futuro. Conosciamo più in dettaglio i protagonisti della nostra storia.

Le nane rosse sono stelle con una massa molto ridotta, compresa tra 0.075 e 0.50 masse solari, di tipo spettrale M. Sono sicuramente le più comuni anche se difficili da osservare per la loro bassa luminosità. Hanno le dimensioni minime che permettono di innescare processi di fusione nucleare di Idrogeno in Elio al loro interno e pertanto appartengono alla sequenza principale del diagramma di Hertzsprung-Russell. Le temperature relativamente basse all’interno del nucleo permettono la lenta produzione di Elio che, mediante moti convettivi, viene trasportato in superficie generando una luminosità pari a circa il 10% di quella del Sole. La vita media di queste stelle è tanto più lunga quanto più piccola è la propria massa. Infatti stelle con una massa inferiore alle 0.8 masse solari non hanno ancora lasciato la sequenza principale il che si rivela un utile indicatore per stimare l’età degli ammassi stellari che le contengono. Le nane arancioni sono delle stelle di classe spettrale K e luminosità V appartenenti alla sequenza principale e sono una via di mezzo tra le nane rosse (classe spettrale di tipo M) e le nane gialle (classe spettrale di tipo G). Le nane arancioni hanno una massa di 0.6-0.9 masse solari ed una temperatura di 3900-5200 Kelvin. Queste stelle sono di particolare interesse poiché la loro stabilità nella sequenza principale è una condizione che facilita la presenza di pianeti simili alla Terra orbitanti attorno ad esse e quindi possibilità di vita extraterrestre. Le giganti sono delle stelle di elevate dimensioni e luminosità e si formano in uno stadio avanzato dell’evoluzione stellare.

Il ciclo evolutivo delle stelle in funzione della loro massa (Disegno di Michelangelo Miani)

Le stelle giganti si distinguono in: giganti rosse, giganti gialle e giganti blu. Le giganti rosse sono dotate di masse medio-basse (tipicamente tra 0.3 e 8 masse solari) e temperatura superficiale di circa 4000 Kelvin. Le giganti rosse più comuni sono quelle disposte nel red-giant-branch (RGB) del Diagramma HR, le quali continuano a bruciare Idrogeno in Elio in strati esterni attorno al nucleo composto da Elio inerte. Hanno un raggio di decine o centinaia di volte rispetto a quello del Sole ed una luminosità cento volte superiore rispetto a quella della nostra stella. Modelli di evoluzione stellare e le relative simulazioni mostrano che nel momento in cui il nostro Sole, tra circa 5 miliardi di anni, cesserà di bruciare Idrogeno nel nucleo diverrà un gigante rossa e aumenterà drasticamente le proprie dimensioni. La Terra, come anche Mercurio e Venere, finirà inglobata nella sua atmosfera e andrà incontro alla propria fine disintegrandosi. L’esempio più noto di gigante rossa è Aldebaran, la stella principale della costellazione del Toro.

Le giganti gialle hanno temperature intermedie per questo sono di classe spettrale G, F e a volte A. Vi è una minore quantità di giganti gialle rispetto alle giganti rosse poiché il tempo trascorso dalle stelle in questa fase è relativamente breve. Queste stelle hanno una luminosità molto elevata e possono portare alla formazione di stelle variabili, mentre giganti gialle di massa moderata possono divenire delle giganti rosse. Le giganti blu, sono di classe spettrale O e B pertanto hanno temperature pari o superiori a 10000 Kelvin e un raggio di 5-10 volte quello solare. Sono estremamente rare tanto da trovarle quasi esclusivamente nelle Associazioni OB (la cintura di Orione è parte di una delle più note).

Una nana bianca è lo stadio finale di una stella di medio-piccole dimensioni. Pur avendo dimensioni confrontabili con la Terra ha una massa pari o simile a quella del Sole (1030Kg), il che implica che si tratta di un oggetto particolarmente denso e con gravità superficiale elevatissima. Si ritiene che quando una stella di medio-piccole dimensioni cessa di bruciare, all’interno del nucleo, le proprie riserve di Idrogeno in Elio giunge al termine della propria vita nella sequenza principale e pertanto si espande divenendo una gigante rossa che trasforma Elio in Carbonio e Ossigeno mediante un “processo triplo-alfa”. Se la gigante rossa non ha all’interno del nucleo una temperatura tale da bruciare Carbonio, allora avverrà l’espulsione di materiale degli strati esterni, generando una nebulosa planetaria nel cui centro rimarrà una massa inattiva di Carbonio e Ossigeno, ossia la nana bianca. Se la massa della stella iniziale è compresa tra 8 e 10.5 masse solari, la gigante rossa avrà una temperatura interna al nucleo tale da bruciare Carbonio ma non Neon, quindi si formerà una nana bianca composta da Ossigeno-Neon-Magnesio. Una nana bianca appena formata è molto calda ma poiché non si innesca più alcuna reazione al suo interno perde gradualmente la propria energia termica divenendo una nana nera. Comunque il tempo necessario affinché una nana bianca diventi una nana nera è stato stimato superiore all’età dell’Universo (13.8 miliardi di anni).

Artistic view of a nova explosion depicting the binary stellar system. Credit: David A Hardy and STFC

Adesso che i nostri attori sono in scena ritorniamo alla loro rappresentazione principale: l’esplosione di una Nova. In base alla periodicità del fenomeno e alle caratteristiche con la quale questo processo avviene, si distinguono le Novae classiche e le Novae periodiche.

La Nova classica è un processo in cui una stella inattiva, come una nana bianca costituita da un nucleo di Carbonio e Ossigeno, assorbe (grazie all’elevata gravità superficiale) del materiale come l’Idrogeno dalla stella compagna con la quale costituisce un sistema binario. L’Idrogeno fluisce sotto forma di disco dalla stella secondaria alla nana bianca per poi depositarsi sulla superficie di quest’ultima. L’Idrogeno e anche un po’ di Elio vengono compressi e producono un aumento di temperatura degli strati sottostanti di circa 10 Milioni di Kelvin. Questo dà luogo alla combustione di Idrogeno in Elio nello strato superiore, comportando una repentina reazione nucleare. Le conseguenze di questo processo sono un aumento di luminosità e l’espulsione di materiale che si espande progressivamente nello spazio circostante. Alcune Novae raggiungono velocemente la loro luminosità massima, vi restano per pochi giorni per poi calare di un fattore 10 in circa tre mesi, come è accaduto per la Nova Persei 1901.

GK Persei 1901 – view of the ejecta a century after the nova explosion. Credit: Adam Block/NOAO/AURA/NSF

Queste sono le “Novae veloci”. La luminosità della stella coinvolta può variare da 6 fino a 19 magnitudini rispetto al livello originario. Le “Novae lente” raggiungono il massimo punto di luminosità in un periodo di tempo di qualche settimana o mese, successivamente diminuiscono la propria intensità gradualmente mediante delle fluttuazioni (evidenziando in questo modo un secondo picco di luminosità) per poi ridurla velocemente. La luminosità di queste Novae si riduce di un fattore 10 in circa 150 giorni.

In più alcune Novae lente mostrano una luminosità minima per un periodo compreso tra 2 e 5 mesi: molto probabilmente la condensazione di polveri attorno alla stella prodotti dall’esplosione non permette il passaggio della luce visibile. Il caso più conosciuto è la Nova Herculis 1934.

Vi sono inoltre le “Novae molto lente” che raggiungono un massimo di luminosità in diversi anni per poi diminuire la propria intensità in intervalli di tempo analoghi. Il caso più noto coinvolge RT Serpentis nel 1915 che ha aumentato la propria magnitudine fino ad un valore 10 e rimanendo costante per circa 10 anni. Ha infine raggiunto una magnitudine 14 nel 1942.

Hubble Space Telescope imaged the double-star system T Pyxidis. This high-resolution image shows that the shells are more than 2,000 gaseous blobs packed into an area that is 1 light-year across. Resembling shrapnel from a shotgun blast, the blobs may have been produced by the nova explosion, the subsequent expansion of gaseous debris, or collisions between fast-moving and slow-moving gas from several eruptions. False color has been applied to this image to enhance details in the blobs.

Le Novae periodiche sono simili alle Novae classiche, ma diverse analisi hanno evidenziato un’emissione di energia proveniente dall’esplosione superiore a quella che si osserva visivamente. In genere si ha un aumento di luminosità dalle 4 alle 9 magnitudini e il periodo di tempo dell’esplosione dura decine di anni. Una Nova ricorrente è RS Ophiuchi la quale è esplosa per sei volte in più di un secolo, negli anni 1898, 1933, 1958, 1967, 1985 e 2006. Questa ha aumentato la propria magnitudine da 12.5 a 4.8, raggiungendo il picco massimo in 24 ore per poi diminuire in un centinaio di giorni. RS Ophiuci ha brillato debolmente per circa 700 giorni dopo ogni esplosione.

Sono state classificati due tipi di Novae periodiche: Novae periodiche di Tipo A, ossia improvvisi esplosioni termonucleari che coinvolgono una nana bianca e che vengono osservate per più di una volta; Novae periodiche di Tipo B, dovute principalmente ad un’instabilità ed un’esplosione del disco di accrescimento, tipico delle stelle U Geminorum.

Con questo bagaglio di informazioni sicuramente osserveremo con altri occhi la Nova Delphini 2013 che promette di dare spettacolo ancora a lungo.

La bella Andromeda – Giulia Alemanno e Anna Galiano

Come avrete già notato leggendo i nostri precedenti articoli, molti di quei puntini luminosi che popolano il nostro cielo ci raccontano affascinanti storie mitologiche di divinità e antichi eroi. I nostri antenati hanno, infatti, assegnato alle stelle e ad altri oggetti del nostro cielo i nomi dei protagonisti di queste storie in modo che tutti potessero un giorno conoscere le loro imprese. Così ad un insieme di stelle fu dato il nome di costellazione di Andromeda, una bella principessa che a causa della vanità della madre ebbe una vita travagliata. La costellazione di Andromeda è nota soprattutto per la presenza di una macchiolina biancastra ai suoi confini. Anch’essa è visibile ad occhio nudo poiché ha una magnitudine pari circa a 4.

Ma prima di vedere di cosa si tratta raccontiamo brevemente la storia della nostra principessa. Il racconto coinvolge altre tre costellazioni del cielo boreale poste nelle vicinanze della costellazione di Andromeda e sono Perseo, Cefeo e Cassiopeia. Re Cefeo e la regina Cassiopeia regnavano in Etiopia con la loro figlia, la principessa Andromeda. Cassiopeia era una donna molto vanitosa, passava il tempo a specchiarsi e si vantava di essere più bella delle Nereidi, bellissime ninfe marine immortali. Tra queste vi era Teti, la moglie di Nettuno nonché madre di Achille, la quale indispettita dalla vanità della regina decise di punirla chiedendo aiuto al dio del mare. Nettuno inviò il mostro marino Ceto a distruggere le coste del regno di Cefeo. Dopo aver consultato l’oracolo di Ammone, re Cefeo capì che l’unica soluzione era quella di offrire la sua figlia Andromeda in sacrificio. La principessa venne incatenata nuda ad uno scoglio e offerta in pasto al mostro marino Ceto. Ma si sa la storia di una principessa non può certo finire così. Come in tutte le storie che si rispettino l’arrivo del principe è di dovere. Ed ecco volare in cielo, con sandali alati avuti in dono dal dio Mercurio, l’eroe Perseo. Con in mano la testa di Medusa sconfitta poco prima, Perseo si precipitò dalla fanciulla e le chiese cosa stava succedendo. Affascinato dalla storia e dalla bellezza della ragazza Perseo si recò dapprima dai suoi genitori e la chiese in sposa (mentre la poverina aspettava nelle grinfie del mostro marino) e una volta ottenuto il loro consenso tornò a liberarla dalla scogliera. I due si sposarono e dopo alcune vicissitudini che coinvolsero Fineo, un giovane a cui tempo prima era stata promessa in matrimonio Andromeda, scapparono in volo raggiungendo il loro regno situato tra la Palestina e il Mar Rosso.

Dopo questa affascinante storia torniamo alla macchiolina biancastra posta nelle vicinanze della costellazione di Andromeda per vedere di cosa si tratta. Dapprima venne classificata come “piccola nube” dall’arabo Abd al-Rahman al-Sufi attorno alla metà del novecento. Dopo quasi un millennio, nel 1864, grazie allo studio spettrale, l’astrofisico William Huggins notò che lo spettro dell’oggetto in questione somigliava più a quello delle stelle piuttosto che allo spettro delle altre nebulose. Esiste, infatti, un’evidente differenza tra gli spettri delle stelle e quelli delle nebulose. Le stelle sono caratterizzate generalmente da uno spettro continuo solcato da righe scure, dette righe di assorbimento, mentre gli spettri delle nebulose presentano prevalentemente righe brillanti. Tuttavia la sua natura stellare non era stata provata del tutto e molti pensavano ancora che si trattasse di una nebulosa. Nel 1920 ci fu il Grande Dibattito fra l’australiano Harlow Shapley e Heber Curtis, astronomo statunitense, riguardante le dimensioni della Via Lattea e la natura delle nebulose e delle galassie. Quest’ultimo riteneva che la grande nebulosa osservata fosse, in realtà, una galassia e quindi un oggetto esterno alla Via Lattea ed indipendente da essa, mentre Shapley ne sosteneva l’entità nebulare ritenendo che essa facesse parte della nostra Galassia. Solo nel 1925, quando Edwin Hubble identificò alcune stelle variabili Cefeidi nella presunta galassia e le utilizzò per determinarne la distanza da noi si poté avere una risposta definitiva. Le Cefeidi sono stelle che presentano una relazione ben precisa tra periodo e luminosità, scoperta dall’astronoma Henrietta Swan Leavitt nel 1912. La luminosità delle Cefeidi cresce regolarmente all’aumentare del periodo. Poiché esse possono essere considerate tutte alla stessa distanza da noi, essendo le dimensioni della galassia in cielo molto minori della distanza da noi, si ha che magnitudine assoluta e apparente differiscono di un fattore costante tramite il quale si può ricavare la misura della distanza. Si scoprì così che si trattava di un oggetto a sé stante ben al di fuori della nostra Via Lattea, che fu chiamato Galassia di Andromeda per la sua vicinanza a tale costellazione.

Andromeda è una galassia a spirale proprio come la nostra e appartiene al Gruppo Locale. Si ha, infatti, che le stelle del nostro universo sono racchiuse in galassie, le quali a loro volta sono unite in gruppi. La forza legante è in ogni caso la gravità. Ad oggi sono conosciute 43 galassie appartenenti alla famiglia del Gruppo Locale. Tra queste vi è proprio la nostra Galassia e la galassia di Andromeda che è la più grande galassia di questa famiglia. Essa ha uno splendore pari a 25 miliardi di soli, mentre lo splendore della Via Lattea è pari circa a 8,3 miliardi di soli. La galassia di Andromeda è importante proprio per la sua vicinanza, grazie alla quale possiamo studiare le stelle che la compongono e confrontare le loro proprietà con quelle della Via Lattea. Lo stesso vale anche per le altre galassie del Gruppo Locale che sono più vicine a noi. Al Gruppo Locale appartengono poi, la Grande e la Piccola Nube di Magellano e la galassia del Triangolo. Il diametro del gruppo è circa pari a 4 milioni di anni luce, esso rappresenta pertanto una piccola famiglia di galassie se si considerano l’ammasso della Vergine o quello della Chioma di Berenice che hanno invece diametri di decine di milioni di anni luce. Dallo studio della massa e della luminosità delle stelle si possono ricavare risultati interessanti. E’ stato ottenuto che la massa totale del Gruppo Locale è pari circa a 1500 miliardi di volte la massa del Sole mentre la sua luminosità è stimata pari a 30 miliardi di volte quella del Sole. Dal rapporto tra queste due grandezze si ricava che nella nostra famiglia di galassie dominano le stelle rosse e la materia oscura poiché il rapporto massa/luminosità è circa 1 per le singole stelle ad eccezione delle stelle rosse in cui è pari circa a 50. Tutti i membri del Gruppo Locale presentano delle velocità che sembrano in contrasto con il principio dell’espansione delle galassie. In particolare la galassia di Andromeda si avvicina alla nostra Galassia sempre di più. Ma di questo parleremo tra un po’, vediamo ora com’è possibile osservare il nostro oggetto. La galassia di Andromeda è catalogata come M31 nel catalogo Messier e NGC 224 nel New General Catalogue che rappresenta un’estensione del primo. Per poter individuare questa galassia in cielo occorre prima cercare la costellazione di Andromeda. Quest’ultima è visibile verso le 21 a est in settembre come si può notare nella figura sopra riportata. Ai confini di tale costellazione possiamo osservare, ovviamente in zone lontane dall’inquinamento luminoso, la galassia di Andromeda.

La Galassia di Andromeda (M31) è l’ammasso di stelle, gas e polveri più vicino alla Via Lattea, la sede del nostro Sistema Solare, distante circa 2.5 milioni di anni luce (a.l.). Dato che la luce viaggia nello spazio con una velocità di 300000 km/s, ciò che riusciamo a intravedere anche ad occhio nudo nelle notti autunnali prive di inquinamento luminoso è in realtà una “fotografia” della bella Galassia di Andromeda risalente a più di due milioni di anni fa. Se esistesse un osservatore distante anni luce dalla M31 e dalla Via Lattea vedrebbe queste due galassie costituire un sistema doppio a causa della loro relativa vicinanza, trascurando però la presenza della Galassia del Triangolo (M33), una delle 14 galassie satelliti di Andromeda. Fino ad una decina di anni fa il diametro della M31 era stato stimato di 120000 a.l. ma osservazioni più accurate ad opera dei telescopi dell’Osservatorio Keck situato sul monte Mauna Kea alle Hawaii hanno dimostrato che nella parte periferica della galassia vi sono dei sottili filamenti stellari che fanno parte in realtà del disco galattico. In questo modo il diametro della Galassia di Andromeda raggiunge un valore di 200000 a.l., superiore al diametro della Via Lattea (130000 a.l.), anch’esso corretto al seguito di recentissime indagini. In effetti è stato scoperto un prolungamento del disco della Via Lattea al di sotto ed al di sopra del piano galattico, evidenziando così un andamento sinusoidale della nostra galassia. Anche il disco galattico della M31 non è piatto ma sembra che abbia una particolare deformazione ad S, dovuta molto probabilmente all’influenza gravitazionale della vicina galassia M33. Nonostante la Galassia di Andromeda sia più estesa della Via Lattea, quest’ultima è molto più massiva per via della grande quantità di materia oscura al suo interno. La M31 contiene, però centinaia di miliardi di stelle, raggiungendo una densità stellare più elevata. Questo rende la Galassia di Andromeda facilmente visibile nei nostri cieli notturni, con un’estensione angolare di 2°, ossia 4 volte più grande del nostro satellite naturale nella fase di luna piena. La luminosità raggiunta dalla Galassia di Andromeda è circa  2.6×1010 volte superiore alla luminosità del Sole ed è inoltre più brillante della Via Lattea.

Studi recenti hanno avanzato l’ipotesi che la galassia della bella fanciulla greca sia attualmente in una condizione di inattività dopo un lungo periodo di intensa produzione stellare. La nostra galassia invece è ancora attiva dal punto di vista di formazione delle stelle e se la situazione dovesse continuare la Via Lattea potrebbe diventare più luminosa di Andromeda. Fin dall’inizio Andromeda è apparsa come una normale galassia a spirale barrata con un rigonfiamento nel centro (bulge) ma la sua inclinazione di 77° rispetto al punto di vista della Terra, che la rende apparentemente di forma ellittica, ha reso difficile comprendere la struttura dei suoi bracci (un’inclinazione di 90° ci permetterebbe di vedere la galassia di profilo). Fra le diverse ipotesi avanzate ce n’era una che sosteneva l’esistenza di due bracci a spirale logaritmica che si dipartivano dalla barra centrale e distanti tra loro 13000 a.l., mentre un’altra suggeriva la presenza di un unico braccio. Nel 1998, però le indagini nel campo dell’infrarosso ad opera del telescopio spaziale dell’ESA hanno scoperto una disposizione ad anello delle polveri e materiale gassoso che compongono la galassia, con un anello più denso e marcato ad una distanza di 32000 a.l. da nucleo, inesistente nello spettro visibile poiché composto da polveri fredde con una temperatura di -260 °C. Questo ha permesso di avanzare l’ipotesi che in realtà la galassia sia in una condizione di transizione, alla fine della quale diverrà una galassia ad anello. Nel 2006 il telescopio Spitzer ha finalmente messo in luce la reale natura di Andromeda, riconoscendola come una struttura galattica ad anello/spirale: dal nucleo galattico barrato si estendono due bracci a spirale logaritmica e due anelli di gas e polveri circondano il nucleo, uno posto nella parte esterna della galassia, l’altro ad una distanza di 32000 a.l. dal centro galattico. Mentre i bracci non sono delle strutture continue ma composti da diversi segmenti a spirale, l’anello esterno ha una struttura circolare, tranne nella regione corrispondente alla posizione della galassia M32. Si ritiene in effetti che circa 200 milioni di anni fa la M32 abbia interagito con la M31. Simulazioni dinamiche molto accurate hanno riprodotto il fenomeno che ha generato l’attuale struttura di Andromeda: la galassia M32 molto meno massiva rispetto ad Andromeda pare abbia “attraversato” il disco galattico di quest’ultima perdendo così la metà della propria massa e producendo la struttura anulare della M31 (Figura 1). Si può paragonare questa interazione al movimento dell’acqua provocato da un sasso lanciato in uno stagno: il piccolo masso genera delle onde circolari che si allontanano dal punto di impatto, allargandosi sempre di più. La Galassia di Andromeda, dopo 200 milioni di anni, sta ancora manifestando gli effetti di quell’interazione.   

Immagine ai raggi infrarossi della struttura ad anello/spirale della Galassia di Andromeda.  

Il Telescopio Spaziale Hubble ha permesso di scoprire, nel 1991, la presenza di un doppio nucleo nel centro di Andromeda, ossia due distinte concentrazioni di stelle poste ad una distanza tra loro di 5 a.l.. La più luminosa, nominata P1 è decentrata rispetto al centro galattico, sede del denso ammasso di stelle calde di classe spettrale A, individuato con la denominazione P2. Quest’ultimo contiene inoltre un buco nero con una massa pari ad un miliardo di volte la massa del Sole. Dopo una prima ipotesi che attribuiva P1 al nucleo di una galassia assorbita da M31, la spiegazione più attendibile sembra essere quella di considerare P1 come un disco di stelle con una distribuzione fortemente eccentrica attorno al buco nero. Dopo più di 150 osservazioni avvenute in 13 anni, i dati forniti dal Chandra X-ray Observatory della NASA hanno permesso ad un gruppo di ricercatori di individuare altri 26 possibili buchi neri all’interno della Galassia di Andromeda, oltre ai 9 già scoperti precedentemente. Queste forti sorgenti di raggi X (con una massa di 5-10 volte maggiore rispetto a quella del nostro Sole) sono molto probabilmente il risultato dell’esplosione di stelle massive. Otto dei 35 buchi neri sono stati trovati in alcuni dei 300 ammassi globulari presenti nella M31, antiche concentrazioni di stelle attorno al centro galattico. Questa scoperta segna una sostanziale differenza tra Andromeda e la Via Lattea, dato che quest’ultima sembra non avere buchi neri nei suoi ammassi globulari. Inoltre, sette di queste sorgenti di raggi X sono collocate entro un raggio di 1000 a.l. dal centro galattico, un numero di gran lunga superiore rispetto a quelli che si trovano attorno al centro della Via Lattea. Una spiegazione risiede nel bulge molto più esteso di Andromeda che contiene un numero superiore di stelle e quindi si ha una maggior probabilità che si creino più buchi neri. 

Rappresentazione della “imminente” collisione tra la Galassia di Andromeda e la Via Lattea che avverrà tra circa 4 miliardi di anni.

L’alone galattico di Andromeda è ricco di stelle con scarsa presenza di materiale metallico, molto simile a quello della Via Lattea. E’ probabile che queste due abbiano subito un’evoluzione analoga nei 12 miliardi della loro vita, assimilando circa 200 galassie di massa ridotta. Studi effettuati tra il 2008 e il 2011 hanno dimostrato come le 14 galassie satelliti di Andromeda (galassie nane) non si muovono indipendentemente attorno ad essa, ma ruotano con lo stesso verso di rotazione di Andromeda, suggerendo un’unica struttura compatta a forma di disco rotante attorno alla M31. Questa nuova scoperta può aiutare a comprendere il processo di formazione delle galassie che ha ancora molte domande senza risposta. In più alcune osservazioni hanno evidenziato una particolare interazione gravitazionale tra la Galassia di Andromeda e alcune sue due galassie satelliti (galassie ellittiche nane), analogamente all’interazione esistente tra la Via Lattea e le Nubi di Magellano. Le due galassie satelliti presentano una distorsione nella direzione della M31, proprio come una delle Nubi di Magellano mostra un allungamento della propria struttura nella direzione della nostra galassia. Andromeda presenta un moto di rotazione con velocità differenti a seconda della distanza dal centro galattico. Risultati provenienti da indagini spettroscopiche hanno evidenziato una velocità di rotazione di 225 km/s ad una distanza di 1300 a.l. dal centro, mentre si ha una velocità minima a circa 6500 a.l.. Questo è dovuto alla presenza di un nucleo molto denso ed in rapida rotazione con una massa di circa  6×109 volte la massa del Sole. Attorno ai 6500 a.l. la presenza di una massa meno densa comporta una riduzione di velocità. Vi è un lineare aumento di concentrazione della massa da 13000 a.l. fino a 45000 a.l., poi lentamente si raggiunge una massa di  1.85×1011 masse solari a 80000 a.l.. A questa distanza la galassia ruota a 200 km/s. Si osserva che tutte le galassie appartenenti al Gruppo Locale presentano un moto di rotazione attorno al baricentro del sistema. Come conseguenza di questo moto la Galassia di Andromeda si sta attualmente avvicinando alla Via Lattea ad una velocità di 300 km/s. In questo modo impiegherà 4 miliardi di anni per raggiungerci e in altri 2 miliardi di anni le due galassie si fonderanno in un’unica galassia ellittica. Le stelle appartenenti alla Via Lattea e ad Andromeda continueranno a mantenere la propria individualità senza subire collisioni tra di loro dato che sono molto distanti le une dalle altre, ma adotteranno un’orbita diversa attorno al nuovo centro galattico che si verrà a formare. Alcune simulazioni hanno mostrato come il nostro Sistema Solare, al seguito di questa collisione verrà allontanato ancora di più dal centro galattico. Si ritiene inoltre che in questa interazione parteciperà anche la galassia satellite di Andromeda, la Galassia del Triangolo, con basse ma esistenti probabilità che interagisca per prima con la Via Lattea.